Anish Kapoor & Future System – Dall’arte all’architettura

5 dicembre 2005

Napoli, Madre

Passaporto per l’inferno? Non esageriamo: per entrare nell’Ade basta il biglietto del treno. Parola del non-architetto Anish Kapoor che, tra strada ferrata e blue velvet, si gioca un terno sulla ruota di Napoli. Vincerà? Per le stazioni c’è tempo. Nel frattempo, ci fa scoprire com’è profondo il Madre.
Funzionerà?

Funziona. Ultimamente è questo il verbo che sboccia sulle labbra di quelli che se ne intendono. “Quell’opera (o, meglio, quel lavoro) funziona, ma è lo spazio che non funziona”. Come se l’arte fosse una lampadina, che s’accende per il clic del genio. E, allora, come funzionaAnish Kapoor (Bombay, 1954) al Madre? E soprattutto come funzioneranno le stazioni del metrò da lui progettate? Procediamo per gradi. La lunga marcia del museo di via Settembrini si snoda ormai tra inaugurazioni cadenzate: ogni volta un evento, ogni volta un piccolo bagno di folla, vero balsamo per chi investe nel contemporaneo a Napoli. Kapoor arriva nelle sale di Donnaregina con qualche mese di ritardo rispetto ai suoi “colleghi” (LeWitt, Horn, Serra, Fabro, Koons, Clemente, Paolini). E ci arriva srotolandosi da solo la passerella, o meglio il tappeto. Perché, pur avendo scavato in profondità il pavimento, il suo intervento proprio non riesce a perdere l’impressione di un vellutato rettangolo di moquette. Allora, funziona? Sì: l’inganno ottico disorienta e stimola lo spettatore. No: non per fare gli eterni scontenti, ma da lui era lecito aspettarsi qualcosa di più. Colpe e meriti, in ogni caso, ascrivibili anche all’allestimento, sul quale pesa la necessità di assicurare incolumità ai visitatori, e allo spazio, che non è certo quello in cui Anish il magno è abituato a giocare. Tant’è che, quando non è più costretto a lesinare sui centimetri, Kapoor torna ad essere Kapoor. E ciò avviene, naturalmente, delle stazioni di Monte Sant’Angelo e Rione Traiano, i cui disegni e modelli sono esposti nelle quattro sale al pianterreno: approdi di una bretella di collegamento tra Cumana e Circumflegrea, dislocati l’uno nei pressi della cittadella universitaria, l’altro in un popoloso rione. Dunque, punti roventi del traffico su rotaia, in tutti i sensi. Perché le migliaia e migliaia di utenti che emergeranno o si addentreranno nel sottosuolo accompagnati dall’avvolgente abbraccio metallico concepito dall’artista, rischiano, se non di finire arrostiti, di doversi guadagnare il treno col sudore della fronte.

È lo stesso opuscolo “istituzionale”, infatti, ad informare che, in base ad “uno studio specifico” è risultato che “per effetto dell’irraggiamento solare, una buona parte della superficie della scultura può raggiungere una temperatura di 65°”. Scoppiasse un incendio in galleria, poi, il termometro salirebbe a quota 87! Per fortuna, prosegue il depliant, “è stato progettato un impianto di raffreddamento con circolazione forzata di acqua fredda in condutture poste a tergo della superficie della scultura”. Scultura che, avendo una forma a tromba, potrebbe comportare anche problemi d’inquinamento acustico, ma –ed è ancora una volta il pieghevole a tranquillizzarci- “tutti i livelli di rumorosità raggiunti sono compresi nei valori ammissibili per norma”. Del resto, lo stesso Kapoor l’aveva detto (e l’ha ribadito anche in conferenza stampa): “Quando mi proposero l’incarico, pensai: ‘sono pazzi’. Io sono uno scultore, non un architetto.” Come sopperire, allora? Contando sulla collaborazione del prestigioso studio londinese Future Systems. E le stazioni? Come sono? Belle, almeno a quel che si vede in mostra, e giocate su una contrapposizione di principi: fredda e “maschile” la scintillante ellissi di Rione Traiano, calda e “femminile” quella di Monte Sant’Angelo, con tanto di vulcanico omaggio al genius loci e al Dante infero. Un viaggio sopra e sotto -ma soprattutto dentro- la Terra, che certo non stride con le simbologie sessuali da sempre sviluppate dall’angoloindiano con sensuosa e delicata raffinatezza. Grandi forme, per le quali, oltre a quello ambientale, c’è sempre da valutare l’impatto visivo. Perché i renderings rendono bene le dimensioni, ma come si integreranno questi “scali” nel paesaggio e, soprattutto, in un tessuto urbano degradato? In attesa della consegna –prevista nel 2007- ci si augura di non dover assistere all’ennesima erezione di cattedrali nel deserto (vedi Daniel Buren a Ponticelli), ma che cotanto lavoro venga premiato da una riqualificazione complessiva del contesto ambientale. Solo così può funzionare.

anita pepe

mostra visitata il 5 novembre 2005

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