Maradona: il mito del calcio entra nella galleria d’arte

17 giugno 2008

“La mano di Dio” di Anri Sala da Artiaco

Spesso per vincere ci vuole la mano di Dio. Però – come si dice? – “aiutati che Dio t’aiuta”. Meglio ancora se, nel tuo piccolo, vieni considerato e ti consideri tu stesso un dio.  Prese tutto alla lettera Diego Armando Maradona, autore di uno dei gol più rocamboleschi e controversi della storia, quello che durante i mondiali messicani dell’’86 valse all’Argentina la vittoria sull’Inghilterra ai quarti di finale. Un punto non proprio cristallino, giacché fu il pugno del numero 10 più amato dai napoletani ad “accompagnare” la sfera nella porta mal difesa da Peter Shilton. Un “furto” che el Pibe, anni dopo reo confesso e impenitente, attribuì ad una sorta di Nemesi per la guerra delle Malvinas: una vendetta celeste rinforzata, quattro minuti dopo, dalla rete “più bella di tutti I tempi”. E perfettamente regolare. A rievocare le gesta non proprio eroiche del fuoriclasse sudamericano è Anri Sala, ispirato da una leggenda vivente tutta genio e sregolatezza che già ha fornito abbondante materiale alla scrittura e al cinema (lo stesso titolo della mostra, del resto, riecheggia quello della biografia di celluloide diretta da Marco Risi). Eppure “La mano di Dio”, da Alfonso Artiaco, non sempre riesce a finalizzare spunti non privi di una certa originalità. Come l’idea di schematizzare l’azione che portò al “gol del secolo” sistemando su un semplice tavolino di vetro luccicanti statuine di numi indiani, ciascuna delle quali rappresenta i calciatori sul prato dell’Azteca, nell’attimo fuggente in cui Dieguito va a rete con la grazia sfottente di uno Shiva danzante, dribblando come birilli difensori agguerriti più della sanguinaria Kalì dalle cento braccia. Un subbuteo rutilante e kitsch, che ironizza sui “moduli” di gioco illustrati con tanto di lavagna e bacchetta, quasi fossero la formula dell’uranio arricchito e non la semplice disposizione di 22 uomini in calzoncini. Decisamente meno convincenti i due video: “Window drawing”, fisso sul bianco totale di un muro ripreso dall’artista albanese durante una partita di calcio sospesa per neve; e “Succederà”, basato sulla telecronaca anticipata della partita “incriminata”: in un parco che sta per essere adibito a campo di calcio, la voce “ultraterrena” di Bruno Pizzul vaticina minuto per minuto l’ineluttabile compiersi del Fato. Un disegno perfetto e infallibile. Che si realizza grazie a un fallaccio.

(Roma, 17 giugno 2008)

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