DISOKKUPATI ORGANIZZATI

14 settembre 2008
Madre ingrato? No. O meglio, non del tutto. All’indomani della loro “separazione consensuale” dal Museo Donnaregina, e con le valigie già pronte per Berlino, Gigiotto Del Vecchio e Stefania Palumbo tirano le somme di un anno alla guida della Project Room partenopea…

Partiamo dall’inizio. L’incarico di curatori della Project Room vi è stato conferito per chiamata diretta. Non trovate che assegnare un ruolo in un’istituzione pubblica senza un concorso di idee sia un’anomalia?
Nel caso di nomina di direttori o di curatori interni, con un contratto di assunzione, la regola dovrebbe essere quella del concorso. Nel nostro caso, di collaborazione esterna, crediamo sia stato possibile chiamare direttamente. Ma questa è una domanda che più che a noi dovrebbe essere rivolta ai vertici della Fondazione Donnaregina e chiedere loro se in futuro la nomina del direttore e del senior curator verrà fatta tramite concorso.

La Project Room del Madre è nata indiscutibilmente con uno scopo “politico”: prestare attenzione ai giovani che operano sul territorio. Quanto la vostra filosofia curatoriale coincideva effettivamente con quella dei “committenti”?
La volontà del museo era quella di aprirsi a una dimensione più sperimentale e di attenzione al territorio; abbiamo cercato di far coincidere le nostre esperienze con artisti napoletani con l’intento della direzione del Madre. La nostra idea politico-curatoriale si muove alla ricerca di partecipazione e coinvolgimento e su tali presupposti abbiamo impostato il nostro operare. Certamente ricerca e lavoro sul territorio non significano inutili e populistici censimenti, ma scelte estetiche e poetiche che coincidano con la visione di chi le propone. Siamo stati sempre liberi di scegliere, non ci sono stati impedimenti né censure, discussione sì, ma nessun controllo di ciò che andavamo facendo.

Nel corso di questi mesi, quali sono stati i vostri rapporti con i vertici del museo? Come veniva recepita l’attività della Project?
I vertici del museo erano e sono per lo più impegnati con le grandi mostre. In generale in Italia, fatta eccezione per alcune realtà, la ricerca e la sperimentazione devono lasciar spazio ai grandi maestri: siamo ben lontani dal regime di pari opportunità che vige in altre nazioni, purtroppo. La Project Room ha vissuto anche quale spazio quasi autonomo. E di ciò siamo stati, in certi momenti, anche particolarmente contenti. Sembrava quasi uno spazio occupato, una sorta di laboratorio politico che operava in totale autonomia creativa e culturale.

Ci sono stati rapporti anche con le istituzioni e i “quadri” della Fondazione Donnaregina, compreso il Presidente Bassolino?
Li si vedeva di tanto in tanto. Bassolino frequenta le inaugurazioni ed è presente, in qualità di presidente della Regione Campania e della Fondazione Donnaregina, nelle occasioni ufficiali.

Nel frattempo proseguiva l’esperienza di Supportico Lopez, il vostro spazio di progetti nel Rione Sanità. Compatibilmente?
Abbiamo inaugurato a dicembre 2007 una collettiva, In attesa di risposta, poi abbiamo sospeso l’attività per dedicarci esclusivamente alla Project. Per questioni di tempo e di energie.

Con quali criteri avete scelto gli artisti con cui avete lavorato?
Aderenza culturale e compatibilità con il nostro progetto. Come solitamente dei curatori lavorano. Facendo delle scelte.

In una città come Napoli, è possibile condurre un buon lavoro di ricerca esclusivamente sulla scena locale?
Napoli non si è mai negata alla creatività e alla sperimentazione. Abbiamo coinvolto giovani artisti capaci di sostenere il contesto museale, ma non si può lavorare esclusivamente sul territorio. Si può e si deve essere attenti e sostenere l’attività artistica locale, ma è necessario mettere assieme Napoli e il mondo intero. Sennò che inutile noia!

Quanto sono costate le mostre della Project Room? Chi e come le ha finanziate?
Non abbiamo mai avuto controllo diretto del budget: presentavamo progetti su cui cominciavamo a lavorare una volta approvati. Ciò che serviva alla produzione delle mostre lo comunicavamo e il museo, tramite la propria struttura amministrativa e logistica, lo realizzava. I soldi e le spese non sono mai stati di nostra competenza.

Quanto ha giovato al Madre l’esperienza della Project?
Certamente ha portato tanto pubblico e tanti visitatori in più. In un anno di attività abbiamo superato le 3mila presenze (cifre che complessivamente riguardano il solo giorno inaugurale di ogni singolo evento). Abbiamo cercato di portare costantemente pubblico al museo, i progetti prevedevano spesso una frequentazione delle attività.

E quale appoggio “morale” e pubblicitario la Project Room ha ricevuto dal Madre?
Il Madre, per sua politica, a nostro avviso discutibile, non fa pubblicità su riviste di settore, ma solo sulle pagine locali e nazionali di quotidiani. Sarebbe stato importante comunicare in modo più adeguato l’attività della Project Room, proprio perché si trattava di giovani artisti e di progetti originali prodotti dal museo. Ma, d’altra parte, per un museo che si definisce “inattuale” è stato già un grande risultato la creazione di uno spazio come la Project Room.

Come e perché avete appreso di essere stati sollevati dall’incarico?
Non lo abbiamo appreso perché non siamo stati sollevati da nessun incarico. La nostra collaborazione di un anno terminava e comunque non eravamo interessati a continuare. Abbiamo contribuito alla creazione e abbiamo strutturato la personalità della Project Room, ma consideravamo il nostro percorso arrivato a una conclusione e quindi ci siamo salutati. Pensavamo, nel caso avessimo proseguito, di procedere con un programma che coinvolgesse il territorio da un punto di partenza internazionale. Una possibilità che il museo non era ancora in grado di sostenere, ma che speriamo venga presa in considerazione per il secondo turno curatoriale di Adriana Rispoli ed Eugenio Viola. Continuiamo il nostro lavoro altrove e in altro modo. Abbiamo deciso di attuare un cambiamento al quale pensavamo già da un po’. Ci stiamo trasferendo a Berlino: Supportico Lopez cambia città.

Dunque il workshop Classroom non avrà seguito?
Questo non inciderà sulla continuità didattica di un museo che ambiva dichiaratamente a diventare una “fucina di talenti”? Classroom come lo abbiamo ideato, diretto e vissuto non avrà seguito. Non sappiamo se un progetto simile sarà proposto dai nuovi curatori. È stata una grande esperienza che probabilmente ripeteremo fuori dal Madre: stiamo preparando il bando di concorso che, per una questione di tempo, non è stato possibile realizzare per la scorsa edizione.

Un bilancio in due battute. Tutti i progetti ci hanno dato grandi soddisfazioni: Manuale per i viaggiatori di Marinella Senatore, le quattro minipersonali di Four Rooms e Classroom, co-curato da Salvatore Lacagnina, con la collaborazione di Francesca Boenzi. Purtroppo il Madre non ha ancora un sito internet aggiornato, ma abbiamo aperto un blog dove sono pubblicati tutti gli eventi da noi realizzati: www.museomadreprojectroom.blogspot.com.

Un consiglio ai vostri successori. Più che un consiglio un augurio: buon lavoro!

a cura di Anita Pepe e Massimiliano Tonelli

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