Modelle statuarie e colorate negli scatti di Dago, il senegalese

11 ottobre 2008

Nella galleria di Franco Riccardo

«La crisi economica? Nel mercato dell’arte, favorirà l’Africa». Parola di Franco Riccardo, gallerista che al Continente Nero guarda da dieci anni e che per la nuova stagione ha scelto Ousmane Ndiaye Dago, fotografo senegalese noto per le immagini di statuarie modelle dal corpo dipinto coi colori e con la materia della sua terra (in mostra ce ne sono 14), nel corso di azioni performative preparatorie allo scatto. Quando si parla di Africa, però, bisogna puntualizzare di quale Africa si tratta. E per il gallerista partenopeo l’Africa vera è quella subsahariana. La quale teoricamente, dopo il Padiglione alla Biennale di Venezia 2007, avrebbe dovuto fare un “botto” che, invece, non s’è sentito troppo forte, anche se «fu proprio la Biennale a dare un premio alla carriera ad un artista africano, Malick Sidibé, anche lui un fotografo, e a Parigi si è aperto addirittura un apposito museo…». Nelle gallerie però se ne vede poca… «Gli svantaggi – spiega Riccardo – sono gli stessi che si hanno quando si lavora con artisti italiani: è difficile che siano capiti e sentiti da un collezionista alla moda. Quando realizzai la prima mostra di Dago, nel 2001, a comprare furono soprattutto svizzeri e tedeschi. Lungimiranti». Ma, si diceva, la crisi potrebbe rivelarsi una risorsa, per la possibilità di fare a prezzi accessibili un acquisto che ha il sapore di una scommessa sul trend futuro. Sta di fatto comunque che l’arte africana non è immune dal virus emulativo dell’Occidente, e la situazione è tanto eterogenea da generare dispersione. Ci sono però alcune caratteristiche che gli artisti africani, pur inclini a «scopiazzare» per esigenze commerciali, sembrano aver preservato, come la capacità di difendere i «contenuti» di contro all’«estetizzazione» dilagante nei cosiddetti paesi sviluppati e rampanti, e di aggregare energie per una rinascita civile della propria terra. Un potere ovviamente inviso al Potere, ma legato al concetto di “bene comune” che, in un continente poverissimo, obbliga moralmente chi ha raggiunto un certo status a condividerlo con la collettività. Così anche per il Dago, che ha curato l’immagine della popstar Youssou N’Dour, connazionale dal successo planetario, e che sotto sotto lancia con le proprie fotografie un messaggio contestatario e sarcastico, seppur mascherato dalla sensualità. Le sue procaci fanciulle, infatti, non mostrano mai il volto, nascosto da e tra i capelli, analogamente al velo che l’Islam impone alle donne. Sottrarre la faccia, lasciando libero tutto il resto. Un variopinto schiaffo alle convenzioni, che prorompe dalla superficie di queste tavolozze viventi spalmate d’argilla. Candide, ma screpolate. E non senza macchia.

(Roma, 11 ottobre 2008)

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