A Capodimonte antologica dell’artista parigina
Non è solo una mostra d’arte contemporanea. E non è una mostra di Louise Bourgeois a Capodimonte, ma una mostra di Louise Bourgeois per Capodimonte». Ci tiene, il Sovrintendente al Polo Museale Nicola Spinosa, a rimarcare la netta differenza tra la nuova proposta della pinacoteca e la “solita” retrospettiva. Perché stavolta è diverso.
Non tanto per il museo, che fin dal 1978 con il maestoso “Cretto nero” di Burri (oggi al centro di un contenzioso sul quale Spinosa non è disposto a cedere di un millimetro: «È stato fatto per questo posto e qua resta») aveva mostrato la propensione alle contaminazioni tra antico e moderno, moltiplicate nell’evento organizzato per il cinquantenario; ma per la 97enne artista, parigina di nascita e cittadina americana dal 1955 (si era trasferita a New York poco dopo il matrimonio con Robert Goldwater, nel 1938). La quale, cataloghi alla mano, ha abbinato una selezione delle proprie opere a quelle presenti al primo e al secondo piano delle collezioni.
Senza preoccuparsi troppo del criterio della varietas, si direbbe, visto che – come ha ammesso il suo assistente Jerry Gorovoy, incaricato di seguire il progetto in un luogo che egli aveva visitato da studente, folgorato da Caravaggio – l’immaginario della Bourgeois è piuttosto tipico, poiché lei, grande «narratrice di storie», sostiene che «l’arte viene dalla vita, non dalla storia. Alla fine la storia della propria vita entra in risonanza col tempo, e diventa senza tempo».
Sicché spesso «il tema è lo stesso, espresso con la stessa forma, lo stesso materiale, la stessa simbologia », e sintetizzabile attraverso parole chiave come «rivalità, invidia, gelosia, senso di colpa, vendetta», stati psicologici ai quali l’artista riesce a dare una forma, plastica, concreta. E nei modi più vari. Con stoffe cucite e imbottite, o metalli patinati e arditamente ritorti. In figurine opime e dai caratteri sessuali esasperati come Veneri preistoriche, o stilizzatissime come le “Tre Grazie” che si stagliano sullo sfondo dell’“Ercole al bivio” di Annibale Carracci. Con i disegni veloci e colorati, o i piccoli pezzi in acciaio, bronzo, marmo e tessuto che quasi si mimetizzano nelle bacheche degli antichi mirabilia. Pochi e, a voler schematizzare segnatamente muliebri, anche i temi ricorrenti: centrale quello della maternità, affrontato con un taglio originale in “Mother and child”, ad esempio, dove l’autrice si pone dalla parte del neonato. Ma, ancor di più, ci sono le “Maman”: ragni monumentali, avvolgenti, inquietanti, puntanti su zampe esili, lunghissime e adunche, come quello col quale la veneranda inaugurò nel 2000 i grandi cicli di installazioni nell’ormai mitica Turbine Hall della Tate Modern a Londra, o che hanno lasciato il segno della Bourgeois nei più importanti musei del mondo, che negli ultimi anni pare abbiano fatto a gara nell’assicurarsi una sua scultura o nel dedicarle un’antologica. E le genitrici aracnee in bronzo ci sono anche qui: una, bellicosa e «protettiva » come ogni madre quando si tratta di difendere la propria prole, nella sala degli Arazzi d’Avalos (arazzi che, nel privato, stabiliscono il legame affettivo e memoriale col mestiere paterno); l’altra, enorme «come un’architettura», giganteggia nel cortile centrale, dove si transita per quella che è la parte più convincente del progetto, la Sala Causa, dal cui soffitto pendono, come gocce, visi di stoffa capovolti, “Giani” fallici, viluppi d’alluminio e, al centro, il corpo inarcato di un “Arch of Hysteria” in lucentissimo bronzo. Opere sospese, pure, tra vendetta-morte e ascesa-lievità, come annunciano la “Giuditta” di Artemisia Gentileschi e l’“Assunzione della Maddalena” di Giovanni Lanfranco, emblemi delle due polarità contrapposte e laceranti. E opere il cui allestimento, isolato e senza “interferenze” di altra epoca e altro genere, risulta più efficace rispetto alla formula mista.
Che per Spinosa, comunque, non si discute: «Noi non siamo alternativi ai musei d’arte contemporanea a Napoli. Noi siamo Capodimonte!», tuona, con l’aria di voler rassicurare – non senza una scoria polemica – gli animi, viste le cicliche tempeste che da San Martino si abbattono sul Madre, il cui direttore, Eduardo Cicelyn, sedeva imperturbabile in platea durante la presentazione di ieri alla stampa. E così fino al 25 gennaio 2009, con solo 1 euro e cinquanta in più sul biglietto d’ingresso normale, i visitatori assisteranno alla curiosa accoppiata tra passato e presente, arricchita da due interventi site-specific: “The blind leading the blind”, “rastrello” in bronzo dipinto di rosso e nero ispirato alla “Parabola dei ciechi” di Brueghel il Vecchio, e “Cell (The last climb)”, una “gabbia” in cui la scala a chiocciola e i globi celesti di vetro riecheggiano l’aura mistica delle tele circostanti, grandi pale d’altare firmate da Luca Giordano. Una «diversità» d’impostazione, basata su «giochi di accostamenti e contrasti impensabili» in altri contesti, esaltata per la sua «grande e originale ambizione» anche dal presidente Bassolino, il quale ha raccolto l’accorato appello del Sovrintendente a farsi portavoce presso il Governo di sollecitazioni a sostegno delle istituzioni museali, come quel Capodimonte che «ha svolto una funzione esemplare nella conoscenza dell’arte contemporanea, con la quale è impossibile entrare in sintonia senza una preparazione “classica”».
Eppure tutto questo rischia di finire, alla luce dei minacciati tagli alla cultura e all’educazione. Per fortuna, ha annotato Spinosa con soddisfazione, stavolta si sono mossi anche gli sponsor privati, su tutti Metronapoli, le cui competenze tecniche si sono rivelate preziose per la collocazione del ragno en plein air. Ma non sarà certo qualche nuvolone a smorzare gli entusiasmi e l’orgoglio per una settimana che ha visto e vedrà Napoli – ha affermato il Governatore – presentarsi «in modo degno della sua storia», mettendo accanto alla veneranda franco-newyorchese i tesori di Ercolano all’Archeologico, Artecinema all’Augusteo e, mercoledì prossimo, al Madre, la retrospettiva di Robert Rauschenberg.
E molto ancora ci sarebbe, anzi c’è, in programma nella reggia borbonica, almeno fino al 2010: Vincenzo Gemito, Luigi Ontani, Candida Hofer e un ricco ritorno del Barocco. Tutto però, avverte allarmato Spinosa, è incerto: «Io non so se questa è l’ultima mostra che realizziamo a Capodimonte. La situazione si fa di giorno in giorno più drammatica. Fateci lavorare nell’ordinario. – è stata l’allocuzione conclusiva – Siamo in piena emergenza. Rischiamo di dover spegnere le luci». Appesi a un filo, e non dalla Bourgeois.
(Roma, 18 ottobre 2008)