Migliaia di tifosi dell’Inter nei ritratti di Frederic Liver

19 ottobre 2008

“San Siro” alla galleria 404

Da un po’ di tempo l’arte contemporanea pare aver riscoperto il calcio. Lo dimostrano il film di Douglas Gordon e Philippe Parreno su Zinedine “Zizou” Zidane e, per restare dalle nostre parti, la mostra su Maradona “La mano di Dio” che Anri Sala ha proposto nel giugno scorso da Alfonso Artiaco. Si adombrerebbe, anzi, una tendenza nostalgica a riscoprire l’aspetto nazionalpopolare del pallone, mettendo di nuovo in campo radioline e rivalità di condominio, quando sugli spalti ci si andava coi bambini e la sciarpa al collo, senza preoccuparsi di diritti televisivi, ingaggi stratosferici, striscioni e cori razzisti, agenti in assetto antisommossa e guerriglie in autogrill.
Nella serie (per il momento…) cadetta dell’arte si cimenta ora sul tema il giovane Frederic Liver, il quale ha voluto che la sua prima personale nascesse sotto l’astro della squadra del cuore. E così, francese di nascita e interista sfegatato, s’è messo a ritrarre gli “82955” spettatori dello stadio dove la Beneamata e gli storici rivali rossoneri si esibiscono la domenica, in coppa e nei turni infrasettimanali. Ritratti non uno ad uno, si capisce, ma con l’aiuto di tre timbri diversi (uno per la faccia, uno per lo sfondo, uno per il numero progressivo), stampigliati su cartoncini che, nelle dimensioni 5×7, rievocano il formato delle mitiche Panini. Nasce così “San Siro”, progetto che Francesco Annarumma ha voluto a tutti i costi per la sua 404: installazione d’impatto (e chissà perché, a colpo d’occhio, lontana parente di certo minimalismo americano), parzialmente finita sulle pareti dove, divisi in quattro gruppi contrassegnati dal colore dei settori del “Meazza” – arancione, rosso, verde e blu -, stanno appiccicati i tifosi. Il resto è finito nelle casse, anch’esse verniciate coi colori dei rettilinei e delle curve del “Meazza”. Immagini frutto di un’operazione ossessiva, nevrotica, performativa, che parrebbero tutte uguali ma in realtà scaturiscono da una demiurgia imperfetta in cui è lo scarto dell’imprevisto a insinuare l’addizione concettuale: l’errore che, in tanta copia, evita casualmente l’omologazione e regala un barlume di individualità. «Solo uno come me poteva avere il coraggio di fare una mostra del genere», ridacchia il gallerista, che da Milano – dove ha aperto una “succursale” lo scorso anno – ha portato in terra partenopea l’esordiente Liver, non senza però avergli fatto pagare un singolare dazio al genius loci. Tra le faccine tutte-uguali-anzi-no, inconfondibile e di diverso colore, spicca quella di Diego Armando Maradona, di recente entrato alla corte nerazzurra come osservatore per volere del patron Massimo Moratti. Piazzato lì in mezzo come un santino sbagliato, inesorabilmente diverso, ruffianamente condannato a fare ancora il patrono di Napoli. Con buona pace di San Siro…

(Roma, 19 ottobre 2008)

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