La prima personale di Melissa Kretschmer da Artiaco
Se c’è una cifra alla quale si può ricondurre il lavoro di Melissa Kretschmer, questa è la delicatezza. Se c’è una parola che riesca a sintetizzarne l’essenza, questa è labilità. Intuizioni, più che ragionamenti, scaturiti da un’esperienza visiva e tattile, anzi tattilmente visiva, condizionata dal materiale preferito dalla 46enne californiana: la cera d’api. Elemento che, con le sue trasformazioni, aggancia alla natura e alla fisica degli elementi la sua prima personale da Alfonso Artiaco (la precedente apparizione risale infatti ad una collettiva di due anni fa). Ciclo, “Plane series”, ascrivibile al sempreverde minimalismo americano, con tutti i vincoli, per così dire “ontologici”, dell’asciutto vocabolario di una scelta tanto radicale. Le varianti, in questo caso, provengono da assemblaggi giustificati da valori tecnici o estetici, esplicitati innanzitutto nell’equilibrio geometrico-cromatico e nella gradevolezza della resa finale. Rispetto agli interventi precedenti – e in particolare a quello eseguito nel 2006 per la collettiva “Dedica” al Pan, dove spalmò di cera le finestre, creando una suggestiva atmosfera ambrata – l’autrice sembra qui “svoltare” in senso decisamente pittorico, producendo patterns in cui il rigore di un costruttivismo elementare è calibrata apparenza. Dietro i tagli squadrati si cela infatti l’imperfezione, data dalle reazioni delle materia, sicché non solo la grafite nera ricopre e “sporca” con fuligginosa eleganza il dolce, cremoso giallo della cera, ma la luce e il calore agiscono, o hanno agito, con alterazioni imprevedibili e incorrette che rispettano il corso naturale delle cose ed esaltano il dialogo silenzioso con la luce (purtroppo artificiale in galleria). La volontà plastica sopravvive idealmente nella sovrapposizione di carta e compensato, creano supporti aggettanti o addirittura concavi, sui quali addizionare, pelle su pelle, gli strati di cera. Ermetica nella forma più che nel messaggio, la Kretschmer scalza la scultura dalla fissazione, per incrociare trame dove l’irregolarità è la regola e lo spessore, anziché radicarsi in profondità, resta a galleggiare in superficie.
(Roma, 14 novembre 2008)