Stampe e arredi a Villa Pignatelli
“La più meravigliosa del mondo”. L’espressione è indubbiamente iperbolica, ma la si perdona se a scriverla è un certo Goethe, e se ad essere ”più meravigliosa” è la terra dei Campi Flegrei, dove venivano a oziare a svagarsi imperatori, poeti e nababbi, e dove Ferdinando IV di Borbone, per meglio attendere all’hobby venatorio e sorvegliare da vicino le grasse e polpose ostriche che vi aveva fatto portare da Taranto, comissionò a Carlo Vanvitelli un Casino di caccia, che il figlio del più celebre Luigi, architetto della reggia di Caserta, eresse su un’isolotto roccioso in mezzo al Fusaro, l’antica ”Acherusia palus”. Al mitico lago flegreo è dedicata, ideale prosecuzione della rassegna dell’ottobre 2006 a Castel Sant’Elmo, la mostra al museo Pignatelli che ”tra cielo e mare” ritrae questo suolo ballerino attraverso materiali provenienti da Capodimonte, dal Museo Correale di Sorrento e dalla colleziona privata Bowinkel. Molti disegni e incisioni, pochi dipinti, tra cui ”La caccia alle folaghe” di Jacob Philipp Hackert. E poi libri, come il ”Voyage” dell’Abbé de Saint Non e il ”Forastiero” di Capaccio, una foto «emozionale» di Mimmo Jodice e, novità rispetto alla mostra di due anni fa, arredi e suppellettili, come il servizio ”dell’Oca” in porcellana, una poltrona dagli elaborati braccioli a forma di cigno e otto sedie di gusto neoclassico, che contribuiscono – spiega la curatrice Rossana Muzii – ad «evocare il fasto del tempo». Ben poco però è sopravvissuto del prezioso apparato decorativo della Casina, tra cui le quattro tele della Sala Tonda che re Ferdinando aveva commissionato al prediletto Hackert (qui ”ricordate” dalle riproduzioni dei bozzetti poste all’inizio del percorso espositivo costruito da Rita Pastorelli e Linda Martino), saccheggiate dai lazzaroni durante la rivoluzione del 1799: quasi una nemesi per un sovrano che le biografie romanzate descrivono incline a simpatizzare col basso ceto. Con la fine del Regno delle Due Sicilie, la Casina da luogo di delizie reali divenne luogo di svaghi popolari, come il ristorante dove nell’Ottocento si gustava a suon di musica il pescato indigeno. E oggi? Attualmente il Fusaro ”ospita” colture di mitili, ma le autorità devono combattere contro la pesca illegale. Pertanto, progetti come il Pit Campi Flegrei, partito nel 2006 e ora giunto alla conclusione, servono non solo a riqualificare l’area dal punto di vista monumentale ed ambientale, ma anche a sensibilizzare affinché non vengano perpetrati gli scempi edilizi che l’hanno detupata negli anni scorsi, quando nei ”Campi ardenti” sono spuntati come funghi ristoranti e discoteche. È in questa direzione che si è mosso il Pit che, attraverso i 110 interventi ricordati dal presidente Francesco Escalona, dal restauro del Rione Terra a quelli dello Stadio di Antonino Pio, del complesso delle Terme di Baia e della Casina Vanvitelliana (dove avrebbe dovuto tenersi la mostra, poi dirottata a Villa Pignatelli per il protrarsi dei lavori), fino alla prevista riapertura del castello di Baia, sede del secondo museo archeologico più importante del Meridione, punta di diamante di questo «scrigno che rivela continue sorprese».
(Roma, 23 novembre 2008)