Finestra sulla storia del corallo
Le meraviglie dell’oro rosso riprendono la strada di Torre del Greco. È una marcia trionfale, pomposa e barocca, quella di “Mirabilia coralii”, prima proposta di un nuovo ciclo espositivo prodotto dalla Banca di Credito Popolare che, dopo le sei tappe di un percorso etnico (dalla Mongolia all’India, dall’Uzbekistan allo Yemen) dedicato alla “gemma del mare”, fino al 1° febbraio 2009 nella sede centrale di Palazzo Vallelonga apre una finestra sulla storia grazie a sessanta pezzi di epoca sei-settecentesca, opera di maestranze ebraiche e trapanesi. Punto di partenza è infatti la diaspora ebraica seguita all’espulsione dalla penisola iberica e dalla Sicilia, decisa nel 1492 dalle maestà cattolicissime Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, che giovò alla trasmissione di un sapere artigianale nella Penisola, toccando soprattutto Genova, Livorno (città cui sarà dedicato il prossimo appuntamento) e, naturalmente, Napoli, particolarmente San Giorgio a Cremano e Torre del Greco. «Un’esplorazione delle nostre radici culturali», ha detto il presidente della Bcp, Antonino De Simone, introducendo una mostra che si muove tra sacro e profano, dove pissidi, ostensori, rosari e paliotti dialogano con saliere, calamai e scrigni. Dialogo: parola chiave soprattutto per la curatrice, Cristina Del Mare, che ha posto l’accento soprattutto sull’«osmosi» tra arabi, cristiani ed ebrei esistente secoli fa nel Mare Nostrum. Una bella lezione per i contemporanei, che di ramanzine ne meritano anche su altri fronti. È stato infatti il numero uno dell’istituto di credito a lamentare come «i governi attuali, sia a livello centrale sia locale, non prestino molta attenzione a questa attività» che, fatto a dir poco assurdo, pur essendo ancora monopolio torrese, è stata di fatto “trasferita” al Tarì di Marcianise e rischia di scomparire in mancanza di una seria politica di tutela. Ha nicchiato invece De Simone circa il valore pecuniario di capolavori che, già intrinsecamente “pesanti”, in ossequio ad un horror vacui di remota ascendenza orientale e ad un pieno gusto barocco, fanno sgranare gli occhi soprattutto per la raffinatezza e la complessità di una lavorazione che definire meramente “artigianale” è riduttivo, ma che s’inserisce a pieno titolo nel vasto complesso dell’arte. Considerazione del Soprintendente al Polo Museale Napoletano Nicola Spinosa, il quale non ha potuto fare a meno di associarsi alle polemiche. Pur nata dalla collaborazione tra numerose istituzioni – Galleria Regionale della Sicilia – Palazzo Abatellis, Fondazione Whitaker di Palermo, Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani, Museo Liverino di Torre del Greco, Museo di Arte Sacra del Convento di San Vito a Vico Equense, Museo Duca di Martina e Museo di San Martino, insieme a collezioni private di Marsala, Palermo e Ravello – la rassegna torrese rischia infatti di trovarsi penalizzata dall’assenza di sinergie. Un gap sul quale Spinosa ha posto il punto interrogativo: «Perché queste iniziative devono stare su un territorio così frantumato? In mancanza di una rete, simili eventi rischiano di scomparire». La classica domanda da un milione di dollari, applicata ad un patrimonio inestimabile.
(Roma, 18 dicembre 2008)