Le opere del collettivo Claire Fontaine alla T293
Se pensate che il feng-shui sia roba per stilose riviste di architettura & arredamento, preparatevi a cambiare idea. Perché il collettivo Claire Fontaine vi dimostra, anzi vi mostra – in “Interior design for bastards”, alla T293 in via Tribunali – come la dottrina orientale del benessere e della prosperità sia una filosofia tanto individualista da sfiorare il cinismo, usata indifferentemente dai singoli, dalle famiglie o dalle grandi imprese per ottenere felicità e ricchezza. Obiettivi non condivisi con la comunità, anzi talvolta raggiunti a scapito dei rivali. Il miraggio postcomunista del soldo facile si lega così ad una tradizione-superstizione tornata in auge col “grande balzo” verso il liberismo più sfrenato.
Dopo essersi consultati con alcuni esperti cinesi, gli artisti hanno innanzitutto “benedetto” la galleria, appendendo in alcuni punti chiave cristalli sfaccettati caricati di energie positive, disseminando piante propiziatorie e installando un acquario con nove pesciolini rossi. La “pesca” – beneficenza o adescamento? – prosegue nel bicchierino per l’elemosina sospeso alla canna e nel retino ornato di “mosche” all’amo, pesciolini e cristalli apotropaici. I punti cardinali e quelli intermedi tracciati in un wall drawing ricordano il nocciolo del feng-shui, dedicato al preciso orientamento di stanze ed edifici e all’altrettanto obbligatoria gamma cromatica degli interni. Regole da applicare in casa come in ufficio. Nello spazio espositivo-spazio di lavoro, sorge allora sulla scrivania un altarino su cui far convergere le forze del bene (e quelle del kitsch) tramite lingottini, monete e navicelle di Buddha placcati oro (finto, naturalmente) e topolini simil-giada cupidamente arrampicati su un mucchio di denaro.
Di fronte a un’escatologia così pragmatica e solipsista, come reagisce Claire Fontaine? La risposta è il video “I”, dal pronome inglese “io” ma anche dal prefisso dei prodotti Macintosh. In questo caso un I-Phone, trendyssimo ed egocentricissimo oggetto del desiderio che, dopo essere stato illuso da una carezza sul touch screen, viene devastato a colpi di martello e fiamma ossidrica, fino allo sbriciolamento definitivo. Un’azione catartica, più che semplicemente luddistica. In primo piano, come in un dissacrante manuale per le d-istruzioni, le mani, dipinte anche in uno degli smalti su legno realizzati in Messico da alcuni “rotulistas” (pittori di insegne): “Spam Painting”, coi vari tipi di Viagra pubblicizzati via mail, e “Mask” di bellezza (anche questo è wellness…).
Lavori indiscutibilmente “politici” e… illuminati. Parte infatti da due statements a neon, che dichiarano il nome del realizzatore e il prezzo corrisposto, la riflessione sul ruolo dell’artigiano e sui meccanismi del mercato e del collezionismo. Quanto, come e perché aumenta il prezzo di un “prodotto”? Che fine fa una volta venduto? Lavori che si distaccano dalla più ironica sezione feng-shui per il messaggio «drammatico» inerente le sperequazioni del sistema, provocazioni che mettono a nudo uno dei contraddittori tabù del capitalismo: la difficoltà a parlare esplicitamente di denaro. Ovvia la citazione (Kosuth su tutti) di una Storia dell’arte nient’affatto rinnegata o irrisa. Prova ulteriore, il “salvataggio” di un cartone che impacchettava lo “Steel Channel Piece” di Bruce Nauman, rinvenuto casualmente due anni fa nei pressi del Madre (dove si è da poco conclusa la retrospettiva sul “re”dei cartoni, Robert Rauschenberg): un’intenerita, commossa resurrezione dell’aura sacrale dell’opera d’arte. In fin dei conti, anche i “bastards” piangono.
(Roma, 17 febbraio 2009)