Il danese Thierry Geoffroy chiama a raccolta gli artisti locali per un dibattito podistico
Dopo New York, Londra, Istanbul, Atene, Parigi, Copenhagen e perfino la Siberia, passa per Napoli la “lunga marcia” del danese Thierry Geoffroy “Colonel”, il quale chiama a raccolta gli artisti locali per un progetto incardinato su parole chiave come: attualità, coinvolgimento, attivismo, responsabilità. Dapprima con “Critical run”, “dibattito podistico” in programma oggi in Villa Comunale alle 16.45, da domani al 20 aprile con la “Emergency room” (www.emergencyrooms.org) allestita al Pan nell’ambito della collettiva “My space”, inauguratasi lo scorso dicembre.
«Entrambi – spiega Geoffroy – sono format convergenti. Emergency Room è una camera dove si installano opere ed opinioni sulle emergenze. Nasce dal desiderio di apprendere cosa gli altri artisti pensino dell’attualità da varie prospettive internazionali e col vincolo di un tempo limitato, fornendo uno spazio fisico nel quale essi possano esporre opere realizzate come reazione agli eventi. Per ciascun giorno della mostra, verranno installati nuovi lavori, in risposta ai fatti delle ultime 24 ore. Questi restano esposti fino al mattino dopo, quando vengono spostati in uno spazio-archivio adiacente e sostituiti da nuove opere. Lo scopo è anche quello di promuovere un senso di comunità tra i partecipanti».
In che cosa consiste, invece, Critical run?
«Critical Run è una corsa durante la quale si discute. È una metafora “incarnata” su quello che sentiamo di poter fare in un mondo sull’orlo dell’abisso. Non una fuga, ma una strada verso delle soluzioni. Un modo per ricavare affermazioni preziose. Spesso ha temi stabiliti in anticipo (quello di oggi sarà “È pericoloso essere critici a Napoli?”, ndr), ma l’argomento può essere deciso anche sul posto e il dibattito può evolversi durante la corsa: come le emergenze, non può essere programmato. È un format critico stimolante, dialettico e… sudato. Normalmente ha luogo una volta alla settimana nella stessa città di Emergency Room, ma è un progetto separato, complementare e indipendente. Inizialmente si chiamava “the artists run”, ma non vi partecipava nessuno: gli artisti generalmente non amano correre. La gente dell’arte ha un pregiudizio negativo nei confronti della corsa, e gli artisti che corrono non lo fanno da artisti, ma in incognito».
Quanto tempo fa ha cominciato a correre e perché?
«Ho cominciato ad usare la corsa nell’arte nel 1990. La mia prima motivazione fu quella di creare un ambiente per incontrare gli artisti in un posto diverso dai vernissage, senza il solito bicchiere in mano!».
Ma perché “correre”?
«Perché io mi esprimo sulle emergenze. Quando le Torri Gemelle sono cadute, la gente è scappata di corsa. Anche quando vuoi salvare qualcuno che sta affogando, corri. La corsa corrisponde a ciò che voglio esprimere. Meglio correre. E velocemente!».
Spesso, parlando di Napoli, viene fuori la parola “Emergenza”. Era già stato in città? Come ne parla la stampa estera?
«Sì, ero già stato a Napoli e l’ho trovata affascinante. Abbiamo molto sentito parlare dell’immondizia e delle ragazzine morte sulla spiaggia senza che nessuno si muovesse (si riferisce alle due bimbe rom decedute lo scorso anno a Torregaveta, e rimaste sulla spiaggia nell’indifferenza dei bagnanti, ndr), ma non conosciamo la realtà di queste storie».
Come ha selezionato i partecipanti?
«La maggior parte degli italiani sono stati contattati dalle curatrici del Pan che hanno organizzato “My Space”, Julia Draganovic e Laura Barreca. Altri da Francesca Boenzi, che si è occupata del progetto in mia assenza. Ci sono anche molti artisti internazionali, provenienti da Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Usa, Grecia, Olanda, Colombia. Penso che dopo Napoli alcuni saranno felici di seguirci nella nostra prossima tappa. Anche perché stiamo lavorando ad una “Emergency room” permanente».
Cosa significa per lei “Emergenza”?
«Sii responsabile oggi, perché domani è tardi».
L’arte può salvare il mondo?
«Sì. L’artista è il termometro della società. Egli sa e sente. Se tu ascolti ciò che l’artista ha da dire ora prima che sia troppo tardi, possiamo evitare a tutti di morire per lo tsunami».
(Roma, 12 marzo 2009)