INTER(TRA)MEZZINO

30 agosto 2010

Voi andate di panini, eh?

Così ci apostrofa il ragazzo, ironico e complice. Classico tipo da vernissage: slanciato, educato, cool, taglia 40, certamente poliglotta e cosmopolita.

Alziamo le spalle con un grugnito: abbiamo fame, vent’anni di più e poca voglia di sostituire la masticazione con la conversazione. Dubito voglia attaccar bottone anche il ragazzo . Che difatti, lanciata la battuta, si accartoccia nella posizione del loto in mezzo ai suoi coetanei. Slanciati, educati, cool, taglia 40, poliglotti e cosmopoliti come lui.

Quattro rompicoglioni venuti a disturbarci il pranzo al sacco, sbuffo tra me e me. Però poi penso che noi abbiamo conquistato il muretto. Sotto il culo e dietro le spalle. Come persone civili, tsé, pure se stiamo mangiando le merende di pane come due muratori.

FLASHBACK: ascendiamo lo ziqqurat del Padiglione Paesi Scandinavi, ciascuno con due piatti di plastica impilati l’uno sull’altro, minacciosamente in bilico. Avanzo a testa bassa, imbarazzata: in questi ambienti non è chic mangiare, anche se cinque metri più in là davanti ai buffet degli alcolici c’è una ressa che manco il primo giorno di saldi da Zara. Evito di inciampare in un calice di vino, abbandonato su uno degli alti gradini, e finalmente mi abbandono anch’io ai morsi della fame. Quando il gioco si fa duro, la macchina reclama benzina. Carburante carboidrato. La focaccia vegetariana (35 euri al mq) si è appena avviata nei meandri della peristalsi, quando il primo intruso irrompe nella nostra Arcadia calorica: barbetta a chiazze, aria Krisna, pastrano di cotone fantasia Lager sui pantaloni larghi.

Sorrisi reciproci.

Si rannicchia sul gradino, fruga nello zaino, e quel che era ampiamente prevedibile è subito chiaro. Prego in silenzio che non inizi a fumare proprio mentre sto per papparmi il primo panino con la porchetta della mia vita, quando, alla spicciolata, ne arrivano altri tre, attrezzati con calice di bianco d’ordinanza.

Ed è a questo punto che lo sguardo si posa sui nostri piatti di plastica e scocca l’ammiccamento: Voi andate di panini, eh?

E pensa che non è il primo e non sarà l’ultimo: – vorrei precisare – ne abbiamo pure un altro, al salame. – Ma poi penserebbe che non è vero, che lo stiamo provocando, invece il quarto panino c’è, avvolto nel suo bel tovagliolo rosso – Ognuno trasgredisce come gli pare – ormai un flusso di coscienza dispeptico e sottoproletario dilaga in me, e non riesco a fargli capire che molto probabilmente il ragazzo non voleva prenderci in giro – è inutile che fai lo spiritoso o il piacione ci siamo fatti un quarto d’ora di fila sotto il sole per prendere ‘sti quattro panini e le sedie e i tavolini erano tutti occupati e allora ci siamo venuti a nascondere qui dietro per farci finalmente di farinacei e proteine mentre tu ti sei venuto a infrattare nel medesimo qui dietro per scroccarti la canna che il tuo amico si stava preparando in santa pace per i fatti suoi prima che venissi tu che ora fai finta di parlare del più e del meno intanto te la stai fumando tutta almeno passagliela pure agli altri no.

E infatti, al mozzicone, lui snoda le lunghe gambe, si stiracchia flessuoso e si avvia in fretta al Padiglione greco, dove tra un minuto comincia una cosa alla quale non deve assolutamente mancare. Il suo calice di vino resta per terra, sul retro del Padiglione Paesi Scandinavi (la preoccupazione che non lo ritirerà nessuno non lo sfiora minimamente, dev’essere abituato così). In due lo seguono. Il Krisna con la barbetta a chiazze resta solo a godersi un’ultima, malinconica boccata. Poi si rialza, si sgranchisce e sparecchia borbottando i resti lasciati dagli altri.

Scendiamo le scale del Padiglione, pronti a rimetterci lentamente in marcia. Una coppia di carabinieri vaga annoiata nei viali, coi pollici infilati nel cinturone. Il calice vuoto, quello che avevo schivato prima sui gradini, è ancora lì.

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