Milano, Museo Poldi Pezzoli
“Persona amabile e faceta” secondo Vasari. Capo di un’attivissima bottega e, infine, testimone anacronistico di un irripetibile splendore. In un pugno di opere, la parabola di Sandro Botticelli…
È, al solito, un allestimento elegante e accogliente quello che il Poldi Pezzoli ha cesellato per Sandro Botticelli (Firenze, 1445-1510). A 500 anni dalla morte del grande pittore, l’omaggio gli viene tributato non dalla natia Toscana, ma dalla Lombardia, attraverso una “riunione” delle sue opere disseminate per la regione, dall’Accademia Carrara di Bergamo alla Biblioteca Ambrosiana e, naturalmente, la casa-museo di via Manzoni (doverosa la visita dell’intero percorso, ghiotto il “link” a prezzo di favore con l’Ambrosiana, dov’è conservata la Madonna del Padiglione).
Pochi pezzi e buoni apparati didattici fanno emergere le due anime di un Botticelli popolano e sofisticato, figlio di un artigiano ma eruditissimo autore di dipinti dalla fitta trama simbolico-filosofica (riconducibile soprattutto all’Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino), pietre miliari di quella che nel Quattrocento era “l’Atene d’Italia”. E dei prestigiosi legami con il milieu culturale fiorentino dà subito conto il ritratto di Giuliano de’ Medici, probabilmente ricavato dalla maschera funebre del fratello del Magnifico, ucciso nel 1478 nella congiura de’ Pazzi.
Freschissima di restauro è la Madonna del Libro, dove la corona di spine intorno al polso del Bambino preconizza la Passione: quadro prezioso (anche per i materiali: oro e lapislazzuli a profusione), “gentile” e lirico, sintesi tra vari generi, dal paesaggio alla natura morta.
Un saggio magistrale di “bello ideale” che rende ancor più netto lo stacco rispetto all’ultima fase, quando la composizione si fa convulsa, nervosa, i gesti disarmonici, le anatomie sgraziate; i colori freddi e caldi si contrappongono, nelle dominanti cromatiche di rosso e blu; lo studio prospettico sopravvive come cornice o esercizio di bravura (vedi i monocromi della Storia di Virginia).
Botticelli, insomma, non ha più niente da dire,
o meglio la sua regressione prende i toni di una contestazione nostalgica: il suo mondo si è sgretolato, la fragile pace di Lodi e la politica dell’equilibrio si sono dissolte, l’invasore straniero avanza. Surclassata dalle nuove generazioni di geni poliedrici, la vena isterilita del vecchio maestro intona il suo canto del cigno, reliquia di una svanita età dell’oro. Inevitabile rifugiarsi in certezze meno terrene, ripiegare – Savonarola docet – su una religiosità tormentata.
Non più donna angelicata, la Vergine s’impietrisce al centro del Compianto, piramide di dolore in franoso equilibrio, compressa su uno sfondo opprimente, gli incarnati di porcellana smorzati nel bigio, la malinconia trascesa in pathos. Espressionismo nordico e teatralità italiana: la mostra si chiude ad anello, segnando non solo l’avverarsi del profetizzato martirio, ma il de profundis su un’epoca intera. articoli correlati
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anita pepe mostra visitata il 4 dicembre 2011