Ironico, italianissimo Arcimboldo

23 marzo 2011

Milano, Palazzo Reale

A Milano c’è anche una tela da Capodimonte accanto ai dipinti con le celebri teste composte …

Arcimboldo, "L'Acqua"

Wunderkammer. Quale parola potrebbe descrivere meglio la mostra dedicata a Giuseppe Arcimboldo?
Creativo stravagante e bizzarro, ma anche “uomo di lettere”, come orgogliosamente sembra suggerire il suo “Autoritratto di carta”, tra i tanti “capricci” con cui l’estroso meneghino stregò la corte imperiale degli Asburgo. È tra Vienna e Praga infatti che l’artista trascorse parte della propria vita, legami rimasti saldi anche dopo il suo ritorno in patria nel 1587: più che un semplice pittore, egli rappresentò per la casata un factotum, impegnato negli apparati decorativi e nella “regia” di feste e cortei o sguinzagliato alla ricerca di oggetti preziosi (molti dei manufatti qui esposti vengono dai forzieri del Kunsthistorisches Museum di Vienna, tra i prestatori più attivi insieme alla National Gallery of Art di Washington). Sicché, sarà il clima patriottico del Centocinquantenario, accanto a quadri e grafiche la rassegna sfoggia il meglio del “made in Italy” del tempo, o meglio del “made in Milan”, come splendidi tessuti o armi raffinatissime (la daga col ramo in corallo, ad esempio), che andavano ad arricchire le blasonate collezioni accanto a rarità naturali, dal rostro del pesce sega alla difesa del narvalo, in un’Europa che, dopo le grandi scoperte geografiche e le circumnavigazioni, era già avviata verso una globalizzazione ante litteram.

Osservazione scrupolosa della natura e gusto per il “monstrum”, la meraviglia, il prodigio: un connubio che la curatrice Sylvia Ferino-Pagden s’ingegna a restituire con un progetto che delizia occhi e mente.

Protagoniste le celebri “teste composte”, frutto della straordinaria capacità di (re)inventare nuovi soggetti assemblando altre figure (animali, fiori, vegetali, libri, stoviglie, utensili) e al contempo preservando la qualità pittorica nell’accuratezza dei dettagli, nella fedeltà al vero, nella sapienza cromatica e compositiva. In un’epoca in cui la natura morta stentava ad affermarsi come genere “autonomo”, l’espediente di Arcimboldo – promuoverla inscrivendola nel più “nobile” filone ritrattistico – funzionò alla perfezione. Antropomorfismo, metamorfosi, divertissement colto… ecco le serie delle “Stagioni” e dei quattro “Elementi”, o le teste reversibili: non banali collage, ma un coacervo di riferimenti zoologici, botanici, simbolici, letterari, iconografici. Roba da far scuola ai Surrealisti, che infatti ammirarono questi fantasiosi artifici. Ma la mostra va oltre, mettendo in rilievo la linea di continuità che fa di Arcimboldo un punto di passaggio tra i leonardeschi e il “precaravaggismo”, sottolineando la propensione al realismo della pittura lombarda, talvolta declinata con gli accenti di quel grottesco caro al genio vinciano. E di grottesco parla anche il “link” con Napoli, ovvero la tela di Agostino CarracciArrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano” proveniente dal Museo di Capodimonte. A riprova di come l’Italia fosse già nazione prima di quel 1861, con buona pace di revisionismi e secessioni.

www.mostrarcimboldo.it

(fino al 22 maggio al Palazzo Reale di Milano, catalogo Skira).

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Commenti

  1. Brennos ha detto:

    Ma quale italianissimo, semmai lombardissimo! Che l’Italia non sia nazione nemmeno oggi lo dicono la storia, la sociologia, l’economia. E non vedo in base a quale logica il fatto che un quadro da Napoli sia esposto in mostra dimostri che l’Italia era nazione gia’ da prima del 1861.

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