Dancer in the dark

30 marzo 2011

Danza davanti e dietro l’obiettivo, Fernanda Veron. Plasma le nuvole, gioca col tempo senza tempo e con la materia vaporosa del presente. Materia che si lascia attraversare, ci permea, ci circonda. Viviamo con lei e in lei, materia noi stessi mutevole e inafferrabile. Nella dimensione rarefatta del silenzio, irrompe la parola. Dalla scrittura di luce (photos + graphia) alla scrittura del significante, che prende corpo nero su bianco in aforismi e frammenti. Didascalia necessaria, subordinata o complementare allo scatto? «La parola se non la immagini rimane parola. – dice l’artista – Se le dai invece il giusto respiro, la animi e la liberi dalla sua ombra». Semi di nuovi mondi, dimenticati tra le pieghe dell’infanzia, età immaginifica che «conta come un bagaglio per tutta la tua vita, ma quando poi scopri che la valigia è sempre vuota, allora inizi a chiederti dove si trova l’universo nascosto di tutte le nostre memorie».

L’obiettivo diventa così strumento maieutico. E la superficie fotografica labile come acqua. Sotto, in trasparenza, fluttuano ricordi e associazioni, ansiosi di essere richiamati all’unità. Anacronistica, come si conviene, la resa, primitivamente sperimentale. Immagini sbiadite dal divenire, consumate fino a precipitare nel chiarore assoluto: bianco il vestito ne Le sale di Los, bianco l’esito finale della Nigredo, primo stadio dell’opera alchemica. «La fotografia – spiega Veron – è la meccanica di questo processo ma simbolicamente riflette la camera oscura della nostra memoria, dove conserviamo un labirinto di ricordi catturati, giacenti e dormienti fino a quando, come un lapsus, non ci riaffiorano lucenti come bagliori. La fase alchemica della Nigredo – prosegue – prevede un passaggio simile, il riesumare quel lato oscuro e buio dalla nostra anima per spurgarlo dalla materia attraverso il fuoco e portarla così verso la purificazione attraverso la decantazione di tutti i colori fino al bianco, alla purezza. Una conversione negativa dell’immagine per capirne la totale fusione, dove il male e il bene coesistono, e superare la simbologia della forma che le contiene in un’unica essenza della sostanza: il ricordo come vera esperienza visiva».

 

Fernanda Veron_A dream of the unknown_a cura di Micol Di Veroli_Napoli_Galleria Overfoto

(31 marzo/21 maggio)

 

foto Fernanda Veron, courtesy l’artista

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