Respiro Pugliese

1 aprile 2011

Fili e sensori. Dentro e fuori la galleria. Per catturare in modalità wireless la luce, l’umidità, la temperatura, la pressione atmosferica e trasformarle tramite un software in suoni. Questa è la mostra, nero su bianco. Una pioggia di cavi dal soffitto e addirittura l’irruzione di un tronco d’albero nel white cube dello spazio espositivo. L’etichetta sbrigativa è: installazione interattiva. Volendo ragionarci un po’, è il tentativo di ricondurre alla solidità della scultura l’impercettibile e l’imprevedibile. Di dare una forma, e una partitura, al gioco di dadi della natura. Impresa ecologista o tracotanza tecnologica? Quattro chiacchiere con Roberto Pugliese…

 

La querelle è sempre quella: natura e macchina. Amiche, nemiche, lontane parenti…?

La tecnologia è semplicemente frutto dell’ingegno dell’uomo, il quale a sua volta è parte integrante della natura (cosa spesso dimenticata). È compito dell’essere umano usarla in maniera attenta e consapevole affinché non distrugga il suo habitat. Non credo che il problema per la natura sia la tecnologia, quanto l’ignoranza e la sete di denaro di gente senza scrupoli. Nel mio piccolo cerco di usare la tecnologia come mezzo di sensibilizzazione riguardo temi ambientalisti.

Guardando le tue opere, viene in mente un “respiro”. Di chi sente il respiro l’artista? È ancora, come il poeta decadente, colui che coglie gli indizi nella foresta di simboli?

Credo che l’idea del poeta che capta “i segnali della foresta di simboli” corrisponda ancora oggi all’idea che molti artisti hanno della propria “missione”. Personalmente credo che, più che svelare segreti arcani e misteri esistenziali, l’artista contemporaneo debba stimolare domande in chi fruisce delle sue opere.

Da quanto tempo lavori con questi media?

La mia prima passione è stata la musica, ma parallelamente studiavo da perito informatico. La scintilla è nata quando ho capito che l’informatica poteva servire a fare musica. Cominciai allora a studiare informatica musicale da autodidatta, ma la passione per la tecnologia aumentava e decisi di iscrivermi al corso di Musica elettronica presso il Conservatorio di Napoli con il maestro Agostino Di Scipio. L’interesse per la musica elettronica e l’amore per le arti visive mi hanno poi spinto a realizzare installazioni tecnologiche volte alla fruizione del suono nello spazio.

Anche facendo della tecnologia strumento espressivo predominante, proprio non si riesce a rinunciare alla figurazione, seppure evocata?

È molto facile rinunciare alla “figurazione” utilizzando la tecnologia. La questione dal mio punto di vista è creare opere complete sotto vari punti di vista: di solito nei miei lavori parto da una base concettuale e successivamente, grazie alla tecnologia, le do’ forma. Se lavorassi alle mie installazioni senza curare l’aspetto visivo, i lavori avrebbero un altro sapore, sarebbero meno incisivi ed immediati. Dando una veste accattivante rendo possibile la loro fruizione anche ai non addetti ai lavori e la cosa sinceramente non mi dispiace affatto.

È la prima volta che compare un elemento naturale tout court nelle tue installazioni?

Ho sempre lavorato con elementi “naturali”, è una costante che fa parte della mia ricerca insieme agli studi sulla psicoacustica, sulla relazione tra acustica ed architettura e sul rapporto tra uomo e tecnologia. Sono etologo per passione e da sempre studio il comportamento animale, confrontandolo con quello umano: credo ci siano ancora molti spunti che la natura possa dare all’arte.

 

Roberto Pugliese_Soniche vibrazioni computazionali_a cura di Valentina Tanni_Verona_Studio La Città

 

(19 marzo/26 aprile)

 

foto di Michele Alberto Sereni, courtesy Studio la Città

 

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