Qualche giorno fa guardavo su RaiStoria un breve documentario in bianco e nero sul teatro a Napoli. Non ricordo bene, ma mi pare fosse degli anni Cinquanta. Quello che mi colpiva (e, confesso, mi commuoveva un po’) era sentire gli attori della vecchia e gloriosa guardia chiamare ‘artisti’ i propri colleghi di palcoscenico. Poi mi sono ricordata che anche mia nonna buonanima usava lo stesso termine per definire le star del cinema (in genere, l’artista era Amedeo Nazzari). ‘Artisti’ anche loro, giusto. Così come sono artisti, per esempio, i danzatori, solo che si chiamano ‘artisti’ solo fra di loro: tutti gli altri li chiamano ‘ballerini’. Oggi il termine ‘artista’ indica prevalentemente chi ha a che fare con le arti visive, come se queste, tirannescamente, si fossero impadronite del lemma a proprio esclusivo uso e consumo. E purtroppo indica chiunque, anche chi di ‘artistico’ ha poco, o comunque meno di quanto vogliano far credere la sua galleria, il suo ufficio stampa e i suoi collezionisti che devono disperatamente credere di aver speso bene i propri soldi. Scusate, io adesso ho le pastiere in forno e non mi posso impelagare in una discussione colta su cosa sia ‘arte’ e cosa non lo sia, però, dopo aver visto la mostra del Premio Rothschild a Milano, penso di non essere l’unica ad avere le idee confuse…