Caro Mimmo ti scrivo

27 aprile 2011

Caro Mimmo, qualche giorno fa ho visto la tua mostra al Palazzo Reale di Milano. Prima la Montagna di sale nella piazzetta davanti, poi gli Scudi in cortile e poi l’antologica dentro, dove c’erano passati Hopper e Magritte. Insomma, bel colpo, Mimmo. Per campano campanilismo, anche se io sono vesuviana e tu sannita, dovevo esserne un poco fiera pur’io, soprattutto vedendo la tua Montagna bersagliata dai clic, più fotografata del Duomo là vicino. E poi io la Montagna l’avevo vista tanti e tanti anni fa, a piazza Plebiscito… Che tempi! Mimmo, ricordi ancora? Tutto pareva possibile allora, ci abbiamo creduto. Solo che tu, almeno, ci hai guadagnato qualcosa. Non che ne avessi bisogno, eh, eri già un artista famoso, quotato… però devi ammettere che poi ti si è visto spesso, molto spesso sul patrio suolo. E tu, da buon figliuol prodigo (cioè prodigo verso il medesimo patrio suolo), non ti sottraevi al cimento, qual che fosse: una volta il Chisciotte a Capodimonte, un’altra il film, un’altra ancora l’opera lirica… A proposito, ricordi quanto ci facesti penare per quell’intervista sul tuo Fidelio? Non che fossi tenuto a concedercela, per carità, però ci rimanemmo un po’ male, anche perché tu rilasciavi dichiarazioni a destra e a sinistra… anzi forse la testata con cui collaboravo era un po’ troppo a destra, vallo a capire. Però oggi fai la mostra da Letizia Moratti… Certo, lo capisco, è il tuo lavoro, poi ormai a Napoli non c’è più niente da fare… Te ne sei accorto pure tu, visto che volevi ritirare le opere che avevi donato alla città. Perché le avevi donate alla città, al pubblico, vero? non a quella specifica struttura dove ti si vedeva in solo show, intervento o collettiva almeno una volta l’anno. Che invidia Mimmo, come devono aver rosicato molti dei tuoi colleghi artisti nel vederti godere di una “galleria” così prestigiosa, senza la preoccupazione di sovraesporsi! Ah ah, sai quante devono avertene dette alle spalle?

Ma non la buttiamo in politica, per carità. E non rivanghiamo il passato, che altrimenti sembriamo vecchi e rancorosi e io non ce l’ho con te, Mimmo, manco ti conosco, non mi permetterei mai.

Dicevo della tua antologica di Milano. Una cosa grossa, però, dimmi quello che vuoi, davanti alle tue opere (non tutte, eh, ma la maggior parte) ho sempre la stessa sensazione: non mi comunicano niente. Mi lasciano neutra. Come una moneta di stagno che rotola sul selciato. Non suonano. Perché, perché Mimmo? Dici che ho un approccio troppo emotivo, come quelli che non capiscono un accidenti? Probabilmente è così, ma se in me funzionasse solo questa corda primitiva allora i tuoi bei colori forti dovrebbero catturarmi. Invece no. A Palazzo Reale mi stupisco solo davanti a un paio di cose, ma non capisco se è per merito delle dimensioni. Vedo un pezzo di legno in un’opera “da Caravaggio” e per me resta quello che è: un pezzo di legno. Mimmo, ma perché la stessa cosa non mi capita davanti a Kiefer? Non è che faccio la provinciale esterofila, però io non sento la tua anima, né il tuo pensiero. Vedo i tuoi Dormienti e dovrei emozionarmi. Invece mi addormento anch’io, specie perché li vedo buttati su quell’inadeguato pavimento pezzato e mi chiedo perché tu abbia permesso una cosa del genere, e soprattutto perché lì sopra ci sia un enorme murales minimalista. Insomma, resto indifferente. Perché? Di fronte a questa monotonia interiore mi dispero, poi penso che magari è proprio questo il segreto del tuo stile/stilema. La fidelizzazione dello spettatore, la replica di alcune felici intuizioni-melting pot. E la sicurezza di chi non ha obblighi verso niente e nessuno.

So che i vaniloqui di una pulce come me neppure ti sfiorano. Figurati, perfino Arthur C. Danto si è scomodato a scrivere per te il saggio in catalogo. Però io te lo dovevo dire, perché solo con te posso condividere questo tormento su cui il mio misero cervellino si arrovella da anni, quando non riuscivo a capire cosa non mi tornasse. Dovevo essere sincera, Mimmo. Almeno io.

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