Io nuoto. Nuoto nella sala di un cinema buio.
Io danzo. Danzo nella sala di un cinema buio.
Le mie labbra, i miei seni, le mie mani, i miei piedi danzano. I miei occhi, il mio respiro nuotano. Io nuoto e danzo rannicchiata nella mia poltrona, al caldo. E non chiudo gli occhi, non adesso. Li apro sull’azzurro e sui colori. Verde, marrone, bianco, giallo, rosso, blu. Sui miei occhi si stemperano le velature, dietro la mia nuca sbocciano mandala. L’acqua si spalanca sotto di me.
Ed io nuoto, e respiro.
C’è un bar sotto il mare, lasciato intatto e pulito il giorno prima. Bagliori sugli affreschi, come gli Achei graffiti su un vaso, in una caverna infuocata. Dalla vetrata filtra una luce rossa. Siamo nella città, nel suo cuore elegante e ricco. E ce la siamo lasciata alle spalle, la città con le sue vetrine di lusso. Le persone parlano sottovoce, qui. Qui nel bar sotto il mare, con le bottiglie composte, ordinato come se fossimo davvero tutti vivi.
Adesso sento il mio corpo. Il collo del piede che si inarca, lo scatto dei lombi per risalire dal profondo. Lo spazio pieno e resistente tra le ginocchia. I capelli come alghe. Sento le mie mani intrecciare figure nell’aria, e nell’acqua, e nel respiro. I denti che mi tagliano i polpastrelli. E i miei occhi sono aperti.
L’acqua, il suono, le immagini. Medusa lambita da fantasmi, gli occhi, i miei, non si chiudono. Nel mare fluttuano tutti i miei desideri, per una volta senza andare alla deriva. Trovano la spiaggia giusta, si riposano.
Io sono il mare intorno a me. Nella mia pancia c’è un pesciolino rosso. Aspetta di essere chiamato, e se non lo faccio tra qualche giorno si stancherà e andrà via. Scoppierà come una bolla, lasciandomi bambina. Mentre io continuerò a spiaccicarmi contro la realtà, spalmandoci tutti i miei umori. Il fiato, la saliva, il sudore. E il filo di bava di una richiesta: Mi vedete?
Alle mie spalle, le foglie e i rami illuminati dal sole, come i suoi occhi sul lungomare, quel lunedì pomeriggio in cui fumiamo in faccia alle onde e ognuno sa quello che aspetta.
Mi rituffo. Riemergo. Una pozzanghera, una fontana, un papà e un bambino che giocano a pallone. I capelli incollati agli occhi, come quando piove troppo. La finestra al secondo piano, venti teste chine sulla versione di latino. Il sole tra le foglie d’autunno, ancora e ancora. Abbracciami, ingoiami: sono il petalo e il ramo secco. Sono quello che eri quando siamo stati bambini insieme, sul terrazzo di piastrelle color crema. Poi siamo stati grandi, e tu trascinavi ridendo la mia valigia d’attore. Ridevo anch’io in quel forno vicino alla stazione, mentre – secondo te – stavo comprando troppi biscotti. Ci siamo visti da vecchi, e ormai non lo eravamo più. Ci guardavamo nei fondi del tè, e il bar sotto il mare era pietrificato. Avevamo imparato a nuotare giusto il giorno prima, che peccato.
Un tocco sulla spalla. Gli occhi storditi mi rotolano sul panno verde della giacca. Tendo il biglietto, istintivamente. Ma il controllore non lo degna di uno sguardo. Scrollo la testa, gli cerco sul viso l’accusa e la colpa. Mi ero solo addormentata dopo la virgola.
Pipilotti Rist_ Parasimpatico_ a cura di Massimiliano Gioni_ Milano, ex cinema Manzoni
(29 ottobre/18 dicembre 2011)