Leggi il titolo e, automaticamente, nella mente affiora l’immagine di un dipinto antico. Dove Gesù si ritrae, mentre la Maddalena tenta di sfiorarlo. Noli me tange.re parte invece da un rovesciamento di ruoli, in cui è la donna a proteggere il proprio corpo, a negarlo, a rivendicarne il possesso e la gestione (anche estrema). Il progetto della mostra è di Raffaella Barbato, curatrice di Di.st.urb. (Distretto di studi e relazioni urbane/in tempo di crisi), costola del circolo Arci “Ferro 3” di Scafati, laboratorio dedicato ai linguaggi contemporanei e nato, con l’obiettivo di creare una rete pluridisciplinare, da un’idea di Ciro Vitale. Tra i promotori della prima ora (oltre alla Barbato e a Vitale) Franco Cipriano, Pier Paolo Patti e Stefano Taccone, cui si sono aggiunti di recente Mario Paolucci, Carla Rossetti, Ilaria Tamburro e Silvia Vicinanza. Della nuova esposizione parliamo con la curatrice, partendo proprio dall’associazione tra il tema della mostra e l’iconografia tradizionale.
Più di una persona ha fatto riferimento a questa associazione. Benché Noli me tange.re echeggi capolavori dell’arte moderna italiana da Tiziano a Correggio, ho scelto questo titolo non per l’assonanza visiva, ma per la complessa simbologia associata alla locuzione latina – riportata in un passo del Vangelo di Giovanni – e per una serie di suggestioni e riflessioni personali. Letta come esortazione o esclamazione/affermazione è da considerarsi come la manifestazione di un “gesto” (verbale) di rifiuto/ribellione. Un’espressione in cui sento racchiusa una profonda dialettica: l’affermazione e al contempo la negazione di uno status di “crisi” individuale e sociale. Nella psicoanalisi, inoltre, “noli me tangere” identifica chiaramente il tabù del contatto, “quella diffusa condizione, di ripulsa al contatto fisico e interpersonale che spesso si traduce in un divieto morale”.
Perché una mostra di sole donne? Non è riduttivo un discorso “di genere”?
Assolutamente no. Questa mostra non è un discorso di genere, né sul genere. È un’interrogazione sul “sentire” al femminile. Una riflessione artistica, un percorso etico/estetico, che nasce come momento di ricerca ed indagine delle fenomenologie sociali, esistenziali, antropologiche e storiche che hanno avuto, e continuano ad avere, incidenza nella strutturazione della questione femminile. Una lettura contemporanea delle preesistenze a-temporali e delle conflittualità tra “sistema” femminile e maschile, che guarda ai processi di subordinazione dei sessi, ma anche alle difficoltà di comunicazione ed accettazione dell’altro. Una ricerca collettiva e corale che si interroga sui limiti di un modello gerarchico-dicotomico dei generi, cui gran parte della storia sociale è stata ed è vincolata.
Dunque la questione femminile, nella società come nell’arte, esiste ancora?
Esiste tuttora uno status di “emergenza”, articolato in problematiche differenti a seconda dei diversi contesti sociali e geografici presi in considerazione. Vorrei precisare, però, che la questione femminile non è il nucleo intorno al quale si focalizza e consuma il progetto, ma è uno degli aspetti indagati. Durante il “recluting” ho avuto modo di conoscere ed entrare in contatto con la ricerca di artiste arabe ed indiane molto interessanti, con le quali mi auguro di poter lavorare presto. Per inciso, questo è un momento storico penalizzante per il lavoro gli artisti in generale, a prescindere dalla “biologia”.
Angela Barretta, Romina De Novellis, Angelika Fojtuch, Regina Josè Galindo, Silvia Giambrone, MaraM, Mary Zygouri: come hai fatto a metterle insieme?
Ho contattato personalmente le artiste, “guardando” quelle con le quali sentivo una certa empatia o finalità di intenti, scegliendo i lavori più vicini alla mia ricerca. Citando il mio concept, “trait d’union delle artiste prescelte […] è l’idea dell’arte vissuta come pratica di resistenza culturale e opposizione/protesta; sollecitazione capace di risvegliare le coscienze e distruggere la cecità individuale e sociale attraverso la costruzione di un processo di co-partecipazione: un’opera d’arte collettiva, ossessione politica che è survivance, “sopravvivenza”. È una “visione dialettica – come ha scritto Georges Dibi Huberman – fatta di passato e presente in continua collisione, improvviso bagliore in cui poter cogliere la discontinuità lacerante del tempo […] la chiave di volta attorno alla quale costruire le strutture portanti di un nuovo ordine di pensiero critico”.
Cosa si vede da Di.st.urb?
Nella sala piccola vi sono le proiezioni video di Romina De Novellis (La Gabbia, 2012), Angelika Fojtuch (Gdzie się podziały, 2010), Regina Josè Galindo (Abul, 2010 e Limpiezza Social, 2005), Silvia Giambrone (Eredità, 2008), Mary Zygouri (trilogia – Symbiosis, 2007; Decadenza, 2008; Long Live the King, 2010). A questa playlist si aggiungono le documentazioni video dei lavori live, ripresi e montati dal videomaker Pier Paolo Patti.
La sera del vernissage sono state infatti presentate due performance inedite, coprodotte dalle artiste e da Di.st.urb…
I.B.M. -International Body Market è il titolo del lavoro di Angela Barretta, la quale, attraverso l’uso di un cliché visivo – quello della donna/pacco, della donna/oggetto- polemizza in modo pungente sui processi sociali di stereotipizzazione ed omologazione ai quali è sottoposto il mondo femminile. Un lavoro nuovo, sia nell’azione scenica che nella struttura: era la prima volta che l’artista sperimentava una performance collettiva. L’azione aveva luogo in uno “spazio”, in una quinta scenica ben definita: sulla parete era proiettato il logo del progetto e nella zona sottostante erano posizionati otto scatoloni, ciascuno dei quali decorato dalla stessa artista, con una serie di simboli raffiguranti elementi del mondo femminile e stereotipi annessi. Abbassate le luci, è partita una traccia digitale realizzata appositamente da Gianni Rizzo: una trama elettronica di suoni acuti, rumori metallici, allarmi e tonfi di oggetti. Dopo circa dieci minuti di questo audio stridente, un allarme ha dato il via all’azione: ogni scatolone si apriva, “liberando” una donna/sagoma vestita con intimo color carne dal gusto retrò. Le attrici, inizialmente col volto coperto, seguendo ritmi ben scanditi si sono “svelate”, fissando il pubblico per un intervallo di tempo preciso, poi, austere, hanno abbandonato il proprio corpo/involucro di cartone, uscendo di e dirigendosi verso un “altrove”.
E l’altra azione?
A questo primo intervento è seguito PINS, di MaraM: un lavoro di grande tensione ed intensità poetica, denuncia dello status di emergenza e precarietà del quale è “in-vestita” la donna contemporanea, nonché testimonianza del lungo e lento processo di evoluzione/rivoluzione individuale e sociale che la stessa è capace di attuare. L’artista, silenziosamente e confondendosi con il pubblico, è entrata nello spazio, indossando un tubino nero e con centinaia di spilli da sarta in bocca. Salita sul davanzale della grande porta finestra che mette in comunicazione il salone con il terrazzo, si è tolta le scarpe ed ha iniziato a strappare con le mani nude le cuciture del vestito, squarci riassemblati all’istante con gli spilli, sempre stretti tra le labbra: una lotta silenziosa tra due gesti che si contrappongono, annullandosi a vicenda. Alla fine, MaraM ha lasciato scivolar via dalla bocca tutti gli spilli, è scesa dalla finestra verso la terrazza e, dopo aver chiesto le scarpe a una donna del pubblico, è scomparsa tra la folla.
Proposte molto apprezzate, la sera dell’inaugurazione. Ma che riscontro ti aspetti, in una collocazione che potrebbe pregiudizialmente essere ritenuta “periferica” dal punto di vista geografico e culturale?
A volte penso che siano più “periferiche” le grandi città. Geograficamente Scafati ricopre una posizione strategica è un ponte tra le province di Napoli e Salerno, nonché uno dei principali comuni dell’Agro Nocerino-Sarnese. Culturalmente, e in relazione all’arte contemporanea, Scafati è sempre stata una realtà propositiva. A partire dagli anni ‘70 con il Circolo Centro Sud Arte, coadiuvato da Franco Cipriano e Antonio Davide, che avviò un’intensa attività di mostre di cui furono protagonisti gli artisti dell’Avanguardia Napoletana (Persico, Spinosa, Barisani ed altri); o ancora la storica “mostra-manifestazione” Politikaction, a cura della Cellula Grafica Heartfield e di artisti provenienti dalle fila di LUCA-Luigi Castellano, mostra riproposta in una nuova versione da Di.st.urb. (trent’anni dopo e a cura di Stefano Taccone), in cui sono stati coinvolti ben trenta artisti di rilievo nazionale ed internazionale.
Anche Noli me tange.re #1, sorretto da una forte sinergia e da un grande lavoro di squadra, vuol dimostrare che la ricerca di qualità può aver luogo anche lontano dalle grandi città e dai cosiddetti “spazi deputati”.
L’entusiasmo paga, ma “solo” spiritualmente. Budget della mostra?
Il budget? Di.st.urb. è uno spazio autogestito e indipendente… tanto lavoro e tanta inventiva!
Noli me tange.re_a cura di Raffaella Barbato. Scafati, Di.st.urb/Circolo Arci “Ferro 3”-Corso Nazionale 131, I piano
(23 settembre- 14 ottobre 2012)