Innocenti evasioni

3 dicembre 2012

La mattina, verso le dieci e mezza/undici, alla mia vicina vengono i cinque minuti. Accende lo stereo a palla e bufff bufff bufff si gode il suo raptus di unzatunza. Solo una sottile parete ci divide. Ed io penso: ma perché la mia vicina ascolta questa musica truzza? E, soprattutto, perché le bastano solo cinque minuti? Eh sì, perché, per il resto della giornata, la mia vicina non si vede e non si sente, se non per cose insignificanti quali scatti della serratura, odore di cibo, ronzio di scopa elettrica (rarissime le martellate, episodiche le cene in famiglia).
Forse quei cinque minuti le bastano per ritemprarsi o, per usare un termine più adeguato, per ricaricare le batterie. A quell’ora, infatti, la mia vicina avrà già fatto un tot di cose come portare i figli a scuola dopo averli svegliati, lavati e vestiti, aver fatto la spesa e un primo turno di lavoro. Probabilmente, approfittando della pausa, è tornata a casa per sbrigare due faccende al volo e, finalmente sola, si gode i suoi cinque minuti di divertimento.
Probabilmente, oltre la sottile parete, la vicina ha un piumino in mano e si dimena ritmicamente mentre spolvera la credenza. Affetta zucchine agitando le anche. Oppure, in preda ad una possessione liberatoria, balla come una menade in mezzo al salotto, le chiome sparte e uno strofinaccio in mano.
Non so perché si sfondi i timpani così. E perché li sfondi ai limitrofi. Magari l’agita la convinzione di essere l’unica vivente sul piano, presumendo che la casa accanto (cioè la mia) sia temporaneamente disabitata. Allo stesso modo, pare sfuggirle la presenza di orecchie umane nell’abitazione sottostante.
Ma, all’improvviso, balena un’intuizione che mi fa capire la potenza di quell’attimo assordante. Quelli sono i suoi cinque minuti, nei quali il tempo esterno viene ingoiato nella risacca del calendario interiore e lei diventa la vecchierella di Leopardi, ricordando quando “il dì della festa […] si ornava” e “solea danzar la sera intra di quei/ch’ebbe compagni dell’età più bella”. Chiaro come non ci sia spazio per altri pensieri. E come non le si possa negare questo momento di rimembranza.
Chissà cosa sogna la vicina, chissà cosa fa.
Di sicuro so cosa faccio io: correggo temi. E mentre lo faccio agogno concentrazione e silenzio. Però non voglio essere intollerante, non voglio che la mia vicina mi odi subito e pensi che sono una snob. Anche perché è mia vicina da poco. Insomma, che devo fare? Mi arrovello, mentre l’unzatunza continua da più di cinque minuti ormai. Vado a suonarle il campanello? E cosa dico? Già mi vedo, a occhi bassi sul suo zerbino: Ehm… scusa… potresti abbassare un po’ il volume per favore? Grazie, sai, eh, scusami ancora… Sto lavorando. E lei si scuserà a sua volta, e butterà lì un Non credevo fossi in casa, poi si chiuderà la porta alle spalle e dirà che sono una stronza. Tanto vale prendere la situazione di petto: Guarda, già hai invaso il pianerottolo e le scale con le fioriere e non capisco perché, visto che hai un terrazzo di 40mq, ah  e poi dalle tue fioriere le cimici sono entrate nel mio appartamento; già hai iniziato ad addobbare le scale e il pianerottolo con i festoni di Natale il 20 novembre; però se ti metti pure con la musica unzatunza no, eh! si, hai ragione, anch’io ogni tanto ci do di aspirapolvere, ma la casa si deve pulire o no?
E mentre mi lacero tra insofferenza e diplomazia, escogito un vile espediente: accendo la tv, la sintonizzo su un canale d’opera e tengo premuto a lungo il triangolino del volume. Il suono di un’opulenta ouverture tracima tra le pareti. Bene, proprio quello che ci voleva. Capirà? Non so. Sta di fatto che dopo un po’ l’unzatunza cessa. Messaggio recepito? In ogni caso, dopo un po’ la sento trafficare e uscire.
Per un attimo, ripenso agli antichi fasti dell’estate appena trascorsa, quando la piazza principale del centro storico, con la benedizione dell’amministrazione cittadina, fungeva da amplificatore per l’aperitivo “scostumato” di un accorsato bar, ed io intrattenevo proficui colloqui con la polizia locale.
Combattili con Pierre Boulez
mi suggeriva all’epoca Roberto. Potrei provarci anche adesso. Il problema è che Boulez non lo sopporto manco io.

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