La incontro nell’androne, mentre scendo per la spesa. Indossa una specie di colbacco, e regge per il serico cordino la confezione di un pandoro.
Convenevoli. Tempo due minuti e, da sotto il cappello villoso, sprizza la solita domanda a coltello. Torre del Greco, rispondo. All’arrivo del marito, emesso dall’ascensore, tocca concedere il bis.
Eh, si vede, interviene lei, mettendo la mano a coppa sotto il mento. Oibò, questa poi. Sta forse simulando una pappagorgia? La mia pappagorgia? Vacillo, disorientata. Probabilmente devo aver balbettato un beh; oppure devo aver fatto una faccia, ma una faccia, risentita, perché subito dopo la signora si affretta a metterci una pezza Sì, voi avete un viso più…più… (e qui vorrebbe assumere un’aria solare, e allora perché quelle dannate mani si allargano intorno alle guance?) … le napoletane sono tutte belle.
Resto basita. Cacchio, era sempre, dico sempre, stato il contrario. Nessuno mi ha mai detto che sembravo napoletana. Anzi, di fronte ai miei capelli biondi, molti erano costretti ad accettare la realtà, e cioè che a sud di Roma le donne non fossero tutte nere e baffute. E poi quando andavo in giro per Firenze mi parlavano perfino in inglese!
Improvvisamente, mi passano davanti i crocché di patate, le pastiere, la provola, i casatielli, le sfogliatelle e le pizze di scarola macinate nel corso di una lunga carriera da figlia terrona. E poi la triste astanteria seminterrata della dietologa, tra chiattoni ed ex chiattoni in perenne competizione sui grammi di pasta e la pizza senz’olio una volta a settimana. Dinanzi a me, miraggio scintillante, si materializza una guantiera di pastarelle e la testa di moro, la mia preferita, compie una rotazione completa sul proprio asse, pavoneggiandosi nella sua scagliosa guaina di cioccolato.
Avevo sempre pensato di potermi mimetizzare, all’occorrenza pronta perfino a rinnegare le mie origini (a gesti, ovviamente, giacché aprire la bocca avrebbe fatto subito crollare il castello di carte). Mi ero illusa di appartenere a una famiglia poco meridionale, solo perché la domenica ci si mette a tavola all’una e mezza e alle quattro del pomeriggio non si sta ancora friggendo il pesce. Ma la gota paffuta mi ha tradita. La gota paffuta e plebea che spuntava nella notte di quattro secoli fa, sulle Sette opere di misericordia di Caravaggio, un altro polentone che in quanto a fisiognomica partenopea ci aveva preso.
Torno a casa affranta, decisa ad avventarmi su un susamiello di consolazione. Poi mi blocco. E se mi facessi, che so, un impacco con due fette di pandoro su viso collo e décolleté?