Un’ombra omicida sulla fine di Caravaggio

31 gennaio 2013

copertinapacelliforgioneTutti per uno, uno per tutti. Difficile rimanere indifferenti, se questo “uno” è Michelangelo Merisi. E così hanno risposto in tanti alla chiamata di Paparo edizioni per il volume “Caravaggio tra arte e scienza”. Coordinatori del progetto Vincenzo Pacelli, tra i massimi esperti del pittore lombardo e già docente alla “Federico II”, e il giovane secentista Gianluca Forgione, ricercatore presso l’ateneo federiciano. La presentazione del volume oggi alle 18 al Pio Monte della Misericordia, dove Pacelli praticamente è di casa, avendone setacciato l’archivio per la disamina della pala sull’altare maggiore. E le vecchie carte hanno arriso più d’una volta al professore, come quando nel 1980, insieme al compianto Giorgio Fulco, rintracciò prove inoppugnabili per assegnare al Merisi la “Sant’Orsola confitta dal tiranno” (oggi punta di diamante della collezione Banca Intesa in via Toledo). Al tavolo dei relatori, moderato da Biagio De Giovanni e Angelo Angelastro, siederanno Francesca Cappelletti, Stefano Causa e Carlo Antonio Leone.
Un tomo ponderoso e ponderato, con splendide illustrazioni orchestrate dalla grafica di Luciano Striani, che cerca di tenere in equilibrio approcci diversi – ricca la sezione medica, ma non mancano contributi musicali, filosofici o più segnatamente legati al restauro e alla storia dell’arte tout court – e ripropone teorie già lungamente meditate. Su tutte, i dubbi inerenti alla morte dell’artista a Porto Ercole, già sollevati da Pacelli nel 1994 dopo il ritrovamento di preziosi documenti nell’Archivio Segreto Vaticano, ma saliti alla ribalta solo negli ultimi anni, in contrasto con la perniciosa tendenza a trasformare gli studi caravaggeschi in una faccenda da necrofori, con tanto di epigrafi commemorative e prelievi del dna di fantomatici discendenti (a proposito, nel volume non mancano le stoccatine nei confronti di questo metodo “scientifico”). Dalle carte emergerebbe infatti una versione contraddittoria rispetto alla vulgata avente come capolinea Porto Ercole, rafforzata da una testimonianza del bibliotecario dei Teatini, che dispera del risarcimento di una commissione mai eseguita dal pittore, giacché “ammazzato”. Da chi? I sospetti si addensano su un misterioso e vendicativo cavaliere di Malta, con la complicità – o il tacito assenso – della Chiesa “deviata”. Un omicidio di stato, insomma.
Il libro però non pretende di dire l’ultima parola, aperto com’è al confronto tra quelle che, sottolineano gli autori, sono opinioni e non dogmi. Pareri certo suffragati da documenti, supporti tecnologici, riscontri scientifici, argomentazioni logiche e, perché no, dall’occhio, strumento indispensabile di una sensibilità costantemente affinata dall’esercizio. Ad esempio l’autografia della “Cattura di Cristo”di Dublino è stata respinta da Pacelli – in favore di una tela in collezione privata romana – dopo un confronto del ductus pittorico tra la tela irlandese e l’“Incoronazione di spine” di Vienna.
Qual è, allora, lo scopo di un altro libro sul Merisi? Cosa c’è ancora da fare, e da dire? «Per quanto paradossale, – replica Forgione – credo sia opportuno, per un po’ di tempo, spegnere i riflettori sul pittore. Caravaggio appare ormai esausto dal numero infinito di eventi espositivi, prevalentemente “di cassetta”, cui è da decenni sottoposto, e dalle continue speculazioni commerciali che ne incrementano il catalogo con frequenti, presunte scoperte, vaticinate da campagne scientifiche e diagnostiche spesso tendenziose (vedi i disegni del Castello Sforzesco, ndr). Si tratta infatti, quasi sempre, di copie antiche di prototipi del maestro, spacciate per originali. Solo in tal modo, i veri studi sul Merisi – ancora possibili, come dimostrano i nuovi documenti ritrovati all’Archivio di Stato di Roma – possono recuperare quella serenità necessaria che oggi appare in parte compromessa».
Quale potrebbe essere, dunque, il prossimo obiettivo? È Pacelli a rispondere: «Le tele Fenaroli, per Sant’Anna dei Lombardi». Ma i tre quadri non andarono distrutti due secoli fa? «Certo, ma se si trovassero le carte…». Quindi, se gli archivi nascondono ma non rubano, il “colpaccio” al professore potrebbe riuscire ancora una volta.

pubblicato sul Roma, 31 gennaio 2013

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