Tubi rossi e teli bianchi. Tavolati di nudo legno. A guidare, orientare la visione.
Non tutte le sculture hanno bisogno dello sguardo a trecentosessanta gradi, tanto più che quelle di Rodin giocano sovente a negarsi: volti nascosti, fusi gli uni negli altri; corpi raccolti, le cui tornite e imprevedibili emersioni sostituiscono spesso la “parola” illeggibile sul viso.
Le impalcature dell’allestimento ideato da Didier Faustino, a metà fra l’atelier e l’officina, si addicono alla scultura, disciplina convenzionalmente ritenuta “banausica”. Del lavoro sono evidenti le tracce concrete, nelle masse che emergono dalle pietre gonfie come nuvole, nelle diverse declinazioni di non finito che lasciano nudi i segni degli strumenti. Lavoro come produzione, visto che l’artista, realizzati i bozzetti, demandò sempre più spesso l’esecuzione agli sbozzatori. Tramonto del titanismo romantico, specchio dei tempi moderni.
Le opere esposte a Milano sono perlopiù “piccole”, rari i pezzi di dimensioni monumentali. La solennità risiede piuttosto nelle espressioni: il ritratto di Puvis de Chavannes, per esempio, dove il gioco della luce sul velo della superficie anima la testa che sorge, massiccia, dal blocco.
Cercare la vena aurea degli “affetti” senza intaccare la materia in profondità: così, sotto le fattezze polite di Victor Hugo, le righe delle barba rammentano una severità arcaica. La liquidità dei tratti (evidente la suggestione di Medardo Rosso) denota l’evoluzione stilistica e la sensibilità raggiunte a circa vent’anni dall’Uomo dal naso rotto. Busto che forse sarebbe stato meglio ribattezzare pugilatore, tale è l’analogia con l’antico: ampolloso cimento del virtuosismo, ed ecco una faccia da assomoir diventare un nobile filosofo o un Michelangelo ingrugnato.
All’iniziale “illusione della carne” si ascrive anche il ritratto di Madame Roll, dove il marmo dell’abito si fa quasi croccante cartapesta. Occasione per aprire il capitolo Rodin e le donne: l’“impresentabile” Rose Beuret, lavandaia, compagna dagli anni della bohème e aiuto prezioso nell’atelier, madre di suo figlio Auguste e impalmata praticamente in articulo mortis. La bella e giovane Camille Claudel, allieva, collega e amante tormentata, modella per la Convalescente e, probabilmente, la Galatea che fa tanto Scuola di Fontainbleu. La duchessa di Choiseul, fiamma senile, avida e prepotente “impresaria”.
Accanto alle donne reali, le eroine, le dee: Arianna, dall’iconografia tradizionale ma con una “manona” quasi mascolina; Francesca da Rimini, eternamente avviluppata in una dannazione lapidea insieme al suo Paolo; gli amanti allacciati in un Bacio avvolgente, la femme fatale de Il peccato.
Emblematici due temi: quello di Icaro, con la sorella Illusione che sembra scappare dal blocco più per l’ebbrezza della caduta che per punizione della propria imprudenza (o tracotanza?); contiguo, per voglia di osare, quello del creatore, chiara allusione all’azione demiurgica dell’artista (La mano di Dio), che dal peso plasma le sue creature. Una genesi che non pretende di portare il mondo alla finitezza, ma lo lascia grezzo, libero di vivere nel suo farsi.
Rodin_ Il marmo, la vita _ a cura di Aline Magnien in collaborazione con Flavio Arensi. Milano, Palazzo Reale.
http://www.mostrarodin.it/
(17 ottobre 2013 – 26 gennaio 2014)