Bake out Italia

18 gennaio 2014

pandorinoNon so se l’avete notato. Magari da voi è diverso, ma in questo lembo di Nord Ovest – e non per la prima volta – l’anno è iniziato con la Grande Delusione: la scomparsa dei pandori e dei panettoni in offerta speciale.
Premessa: nel paterno ostello meridionale è sempre stata consuetudine rimpinzarsi post rem di tali bontà, senza indulgere al campanilismo. “Balocco o Alemagna purché se magna” era il motto allorquando, dopo Natale, salumerie e pasticcerie gareggiavano in svendite di dolciumi industriali, dalla barba di Babbo Natale gusto zabaione alla testa di Baldassarre ricoperta di finissimo cioccolato al latte. Poi arrivava Pasqua e ricominciava il giro: così, tra le colombe con e senza canditi, la campana gianduia e l’agnellino glassato, i primi caldi ti coglievano inesorabilmente impreparato alla prova costume.
Dopo sì lungo allenamento, era quasi scontato ritenere radicato anche nel parsimonioso Piemonte il sano costume del “piuttosto che buttarli via, dopo la Befana ve li tiriamo dietro”. Sicché, ostinatamente e a più riprese, subito dopo il 6 gennaio mi fiondavo tra gli scaffali dell’iper per fare incetta di pandori e panettoni con cui fare colazione, merenda e fine pranzo della domenica. La mia mente plasmava la baldanzosa proiezione di una me stessa carrellomunita, incantata dinanzi alla fiabesca Muraglia della glicemia: cartoni viola pallido, rosso intenso, blu scuro, marroncino caramellato, stampati con immagini che, pur aventi il solo scopo di presentare il prodotto, risucchiavano me consumatrice fra morbidi e profumati alveoli di pasta gialla, densi di uvette, canditi e zucchero a velo.
Speranza infondata? In fondo, la cuccagna ammirata a dicembre non poteva essersi esaurita così, da un giorno all’altro!
Invece il Muro era crollato. Là dove c’erano i pandori ora c’erano le piante di plastica, i copriasse da stiro, i raccoglitori da ufficio.
La cosa si è ripetuta pure nell’A. D. 2014. E se la scomparsa ha salvato il duodeno da ulteriore affaticamento, ben più tosta da digerire è stata la domanda: che fine hanno fatto i pandori e i panettoni avanzati? Mica possono essere andati sold out, come i biglietti per gli One direction!
Li hanno mandati tutti al Sud, tanto è roba di scarto? Negativo anche questo: la mia corrispondente locale – colei che per anni è tornata a casa dalla spesa giocolando felice con paracarri Bauli in saldo – ha condiviso la medesima doglianza.
Non ci sono più i pandori di una volta, figlia mia.
Sarà la crisi, mamma, non ti angustiare
. Ci rifaremo con le zeppole di San Giuseppe.
A proposito di crisi, voi che siete laureati in economia, ditemi se il ragionamento fila: calando il potere d’acquisto delle famiglie, dovrebbe aumentare il prodotto invenduto prima. E perché questo non resta sul mercato dopo, per essere smaltito a prezzo ribassato?
Fatto sta che, tra i rimasugli natalizi, gli unici che vegetano da queste parti sono torroni anoressici e frutta secca. Però posso mai accontentarmi di due fichi mosci e appiccicosi, avendo agognato le nozze con un soffice lievitato?
Forse frequento il supermercato sbagliato. O forse un vecchio comma dello Statuto Albertino, fermato appena in tempo da una sanguinosa battaglia sul Garigliano prima di venir esteso alle ex Due Sicilie, obbliga i residenti ad espiare ogni caloria ingerita durante le Feste con un’ora di palestra, due di coda sulla A26 e brodo di faraona fino a Quaresima.
Insomma, non resta che rassegnarsi ad infittire con la prematura scomparsa del Tartufone il catalogo dei misteri insoluti, tipo: dove finiscono i palloncini scappati dalle mani dei bimbi? Le forcine per capelli? I soldi degli sms di beneficenza?
Lo scorso anno, comunque, mi sono organizzata e il pandoro me lo sono fatto da sola. Quest’anno, nel supermercato appena inaugurato sotto casa, ho trovato, come relitti di un naufragio, alcune confezioni di dolce + spumante (scartate) e delle monodosi di pandorini e panettoncini, di quelle per bambini, testimonial supereroi e principesse. Ho deciso seduta stante che non avrei passato di nuovo quindici ore della mia vita a rigirare su se stesso un impasto burroso. E, oltre a un involontario detox, ci ho guadagnato pure due orecchini di plastica a forma di cuore.

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