Una delle cose che mi piacevano di più da bambina/adolescente era accompagnare mia mamma a comprare le pizze da Peppino sott’o ponte, detto Peppe ‘o nzevuso. Restavo affascinata dall’abilità delle mani che tiravano e stendevano i panetti fragranti, dal gesto largo nello spargere la mozzarella e l’olio dalla caraffa di rame, dal misterioso antro infuocato del forno a legna, dalla maestria di chi manovrava le due palette (una di legno, l’altra di ferro), adagiandovi sopra la pizza, ruotandole o rinforzando i trucioli ardenti; m’inebriavo del caldo profumo che si spandeva intorno a noi, che aspettavamo dietro il bancone, magari con la birra o la coca presa all’ultimo momento che trasudava freddo. Quand’ero piccola, tra l’altro, non esistevano ancora i cartoni singoli, perciò le pizze fumanti venivano piegate e impilate in un vassoio, poi incartato. Ecco, volevo dirvi che io spesso ho nostalgia di questa goccia della mia vita. Unta e nzevosa, però non mi scivola dal cuore.