L’umanità povera dei pastori e lo sfarzo dei Magi su affreschi, tele e sculture

8 dicembre 2014
Maestro dell'Annuncio ai Pastori_ Annuncio ai pastori_ Napoli, Museo di Capodimonte

Maestro dell’Annuncio ai Pastori_ Annuncio ai pastori_ Napoli, Museo di Capodimonte

Guardatelo. Guardate quel quadro. È buio, sporco. L’uomo al centro dorme pesantemente, quello seduto per terra mostra le piante dei piedi incrostate di sporcizia. Fagotti, una forma di pane rustico, pecore dal pelo non proprio candido. Facce semplici, panni ruvidi. È su questa umanità che planano i paffuti bambocci che annunciano la venuta al mondo di Nostro Signore. Un’umanità in transito, che sa di terra, di miseria e di verità. Eppure chissà che non sia questo l’autentico “presepe napoletano”. Dimenticate per un momento i variopinti cori angelici, le colonne antiche, le Madonnine dalle guance rosa, le pacchiane adorne di coralli, il corteo dei Magi scintillante di gemme. Perché davanti alla tela del Maestro dell’Annuncio ai Pastori si ha la sensazione di essere catapultati dritti al cuore del sacro. Silenzio e commozione galleggiano in questa sala di Capodimonte, donde inizia il nostro breve itinerario partenopeo che, senza aver la pretesa di essere esaustivo né addentrarsi in questioni attributive, si propone semplicemente di fornire qualche spunto iconografico relativo alla nascita di Gesù.
Prima tappa museale, dunque, la reggia borbonica e non la “scontata” – ma imprescindibile – collezione di arte presepiale della Certosa di San Martino, dove non va comunque omessa la visita alla Sala del Capitolo, nella quale i sommi pennelli di Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione si cimentarono rispettivamente nell’Adorazione dei Magi e nella Natività. Proprio dal “cavaliere” di Orta di Atella ricomincia il tour a Capodimonte, con un’Adorazione nella quale i rozzi pastori appaiono già creature arcadiche, mentre venerano il Bambino adagiato in una dolce e luminosa profusione di azzurri. Sempre nella Pinacoteca, altri due olii degni di nota: la Circoncisione di Simon Vouet e l’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi, nella quale il divino Fanciullo viene offerto in maniera un po’ acrobatica agli imponenti personaggi.
Sulla scia della cometa, si arriva fino a Castel Nuovo: qui, nel Museo Civico, la tavola cinquecentesca di Marco Cardisco propone una (non così rara) alleanza tra devozione e politica, giacché nei ricchi panni dei Re orientali pare siano effigiati Carlo V d’Asburgo, re Ferrante I e Alfonso II d’Aragona.
Nuda e semplice è invece la scena affrescata nel Trecento da Montano d’Arezzo in San Lorenzo Maggiore: su un pezzo superstite d’intonaco, Maria giace distesa accanto a una culla che più “basica” non si potrebbe, circondata da angeli festosi ma spossata come una qualsiasi partoriente. Ben altro sfarzo celebra la Natività nell’omonima cappella del Gesù Nuovo, dove, tra statue, affreschi e rivestimenti preziosi, troneggia la scenografica pala firmata agli inizi del XVII sec. da Girolamo Imparato. Poco lontano, in San Nicola alla Carità un pastore allieta con la sua zampogna l’Adorazione dipinta da Francesco De Mura.
Ma le interpretazioni della Natività sparse per le chiese cittadine non sono solo pittoriche: c’è, per esempio, il “presepe” scolpito da Antonio Rossellino sull’altare della Cappella Piccolomini nella Chiesa di Monteoliveto, bassorilievo marmoreo tra i più alti esempi del Rinascimento toscano all’ombra del Vesuvio. Sempre in marmo è la monumentale cona con l’Adorazione dei Magi di Bartolomé Ordonez, scultore attivo nel Cinquecento nella Cappella Caracciolo in San Giovanni a Carbonara. Un’opera, anche questa, non priva di risvolti politici, poiché secondo alcuni studiosi tra i personaggi raffigurati vi sarebbe Alfonso d’Aragona, mentre altri leggono l’intero soggetto quale celebrazione dell’unità della monarchia spagnola, che aveva scelto proprio il 6 gennaio per entrare a Granada riconquistata ai Mori.

(Articolo pubblicato sul Roma, 6 dicembre 2014)

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