“Avanguardia” è la parola che aleggia, potente, nelle prime sale della retrospettiva che Milano “cuore d’Europa” dedica a Marc Chagall. Perché la, o meglio le Avanguardie solcano il cielo dell’artista bielorusso: un cielo pulsante di uomini e animali, che volteggiano nel cosmo (macro? micro? non importa, non più) spinti da un soffio gioioso, mistico, primitivo. Un cielo da favola che, negli anni più tragici del Novecento, finisce col tingersi di sangue. Ma nel firmamento di Chagall, tra Europa e America, le Avanguardie, come comete, lasciano quella traccia che gli serve per costruire e rafforzare il suo ingegno appartato, il proprio linguaggio originale e inconfondibile nel quale, tra orgoglio, memoria e nostalgia, si fondono tre anime: la cultura chassidica ebraica, quella russa e quella occidentale. Tre i cuori di Chagall, ma uno solo quello intorno al quale danza il suo pennello, quello di Bella Rosenthal. In mostra, ce lo ricorda soprattutto “Il compleanno”: absit iniuria verbis, ma è perfetto per un biglietto di San Valentino. Quale amante non vorrebbe essere avvinto da un bacio così dolce e rapinoso? Un frullo d’ali, una contorsione romantica sullo sfondo della serenità coniugale: il mazzo di fiori, il borsellino, la torta, preziosi arredi del sacrario domestico, in quella Vitebsk che è – e sarà ancora – la sua Itaca.
Fuori possono infuriare la guerra, la rivoluzione, poi un’altra guerra; i pogrom, la Shoa. Chagall, bollato dai nazisti nel novero dei “degenerati”, fa e disfa valigie, e – pur senza astrarsi dagli eventi – non smette di rifugiarsi nel necessario, vitale cantuccio della pittura. Disegna e dipinge ebrei, favole e amori, finché anche le sue tele non vengono investite dalla tragedia. Personale, e storica. Bella muore (nel 1944) dall’altra parte dell’Oceano, mentre in Europa infuria la guerra e la “soluzione finale” sta sterminando il popolo eletto. Sulla tela esplodono la violenza, il dolore, l’angoscia, l’incubo. Nei quadri, intrisi di colore, la composizione diventa affollata, caotica, fra incendi e devastazioni si moltiplicano i rabbini in fuga, le croci, accanto alle placide mucche compare il gallo, simbolo di espiazione collettiva.
Più impellente diventa il ricorso ad una spiritualità insieme paesana e drammatica, solo una tra le sfaccettature della costante ricerca di unità che, nella sua carriera, Chagall persegue (anche) attraverso l’eclettismo creativo. Lungo e appassionato il rapporto col teatro, dai cicli per il Teatro Ebraico di Mosca o l’Opera Garnier, alla realizzazione di costumi per opere e balletti, quali L’uccello di fuoco e il Flauto Magico. Artista eclettico, firmerà arazzi, mosaici, ceramiche, vetrate, incisioni, e passerà dal sacro al profano, decorando ad esempio l’Università di Nizza e la Cattedrale di Reims.
La mostra di Palazzo Reale tenta la non piccola fatica di un racconto esaustivo ma, dopo lo sfolgorio e la vivacità delle prime sale, negli anni di maggior travaglio paradossalmente la tensione sembra calare e stabilizzarsi su un unico tono. Conseguenza del contesto ma, ancor di più, della maturità di un artista “arrivato”e comprensibilmente cristallizzatosi nella propria forma. Una carriera lunga quanto il Secolo Breve.
Marc Chagall. Una retrospettiva 1908‐1985_ Palazzo Reale, Milano
(17 settembre 2014 – 1 febbraio 2015)
www.mostrachagall.it