Se l’arte è segno del tempo

5 marzo 2016
Vincenzo Rusciano_ Nor so Bad_ 2016. Ph Danilo Donzelli. Courtesy Annarumma, Napoli

Vincenzo Rusciano_ Nor so Bad_ 2016. Ph Danilo Donzelli. Courtesy Annarumma, Napoli

«Una bellezza che, senza giudicare, diventa segno del nostro tempo»: questo il nocciolo di “Not so bad”, personale di Vincenzo Rusciano presso la galleria Annarumma (fino all’8 marzo in via del Parco Margherita, visita su appuntamento). Un tempo “nostro” al di là di ogni limitazione cronologica, libero di mescolare passato e presente attraverso materia e colore. Elementi essenziali, e d’inesauribile ricchezza, che tengono in equilibrio un’esposizione -laboratorio, compiuta anche quando le opere sembrano cristallizzate in uno stadio progettuale o in attesa di “rinforzi”. Così le grandi teste sono una conferma di come l’artista abbia progressivamente indirizzato parte della propria ricerca verso l’antico, grazie alle «frequentazioni, ravvicinate e quasi quotidiane, con il mondo dell’archeologia e del restauro. È una riflessione su quel concetto di estetica contemporanea: un ponte che collega due orizzonti distanti, quello urbano/contemporaneo a quello storico/classicheggiante». Nel ripristinare filologicamente la policromia della scultura antica, Rusciano adotta una rivisitazione minimalista, con tocchi di nero, giallo e azzurro che sembrano accennare ad un solare genius loci: «La statuaria antica si presenta spesso amputata dei suoi colori originari. Io ho voluto trasformare questa stessa limitazione in espressione di sensi ulteriori, caricando quelle figure classicheggianti con colori forti, vivaci, oltre che con utensili tratti dall’arte e dall’archeologia direttamente connessi con il mio operare quotidiano e assolutamente avulsi all’antichità». Accanto, grandi fusti neri, bituminosi, sospesi come un’orchestra prima dell’“attacco”: «Si tratta di taniche, contenitori, idealmente traboccanti di materiali, quelli “duri” dell’oggi – resina, lattice, jesmonite, colori a smalto – che rimandano al mio lavoro. Complessivamente, dato che sono forme impresse da tempo nella mia memoria visiva, così come le statuaria classica, le ho rese senza tener conto del loro aspetto originario ma, semplicemente, come informazioni di tipo spaziale che occupano la mia mente». E se il salto appare troppo brusco, a cucire insieme una mostra solida e corposa interviene il filo, sottile e tenace, del segno che più di tutti ha attraversato le epoche, quello alfabetico: « Il graffito è diventato segno del nostro tempo. Nel bene o nel male, è elemento deputato al dialogo oppure al conflitto. Un’esigenza di lasciare una traccia del proprio passaggio. – spiega Rusciano – La scritta oppure il graffito fanno parte della nostra familiarità visiva, così come le condizioni degli edifici e dei monumenti di una città come Napoli (e non solo Napoli) raccontano di certi fattori sociali che vanno direttamente collegati agli sviluppi dell’estetica contemporanea».

(Articolo pubblicato sul Roma, 5 marzo 2016)

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