Il tuo lavoro è caratterizzato da una particolare attenzione per le implicazioni sociali e politiche della pratica artistica: è stato così anche per “Capri B&B”?
Ovviamente sì. Per me lo studio dell’essere umano passa attraverso le tracce di architettura informale che questo decide di lasciarsi alle spalle. Per questo, ho concordato con Adriana Rispoli la presenza in mostra dei lavori di “Questione d’appartenenza”, che trattano appunto del livello sistemico dell’informalità, mappando e rilevando circa 20.000 microazioni abusive compiute nel cuore storico di Napoli e che rappresentano, oltre che un discorso più complesso su come la città risponda alle esigenze primarie dei suoi abitanti, anche una ricerca che si pone come prosecuzione e aggiornamento rispetto alle teorie di Walter Benjamin sulla città porosa, nonché come riflessione sulla capacità della popolazione partenopea di ampliare e moltiplicare gli spazi vitali. Queste azioni nella loro risultanza estetica ci narrano di esigenze reali, come la creazione di un nuovo bagno, l’installazione di un condizionatore o la necessità di rendere un garage abitazione, un’architettura in cui la strada diventa una stanza in più della casa da arredare e da pulire, annullando il confine fra pubblico e privato con azioni di prepotenza che rendono la città una questione d’appartenenza.
Seguendo il filo di questa architettura emergenziale, si arriva nel Giardino del Priore, dove si stagliano i Faraglioni…
La storia di questa installazione risponde ad uno dei miei dubbi più sentiti riguardo a questa esposizione, ovvero la percezione del pubblico caprese rispetto agli argomenti che sono solito trattare. Volevo portare sull’isola una riflessione sulla forma architettonica minima, ovvero quella dei senzatetto, che vivono le città con architetture precarie fatte di cartoni destinate a durare poco più di una notte. Dettaglio non trascurabile, una delle poche forme architettoniche non presente in un luogo dove progettisti di ogni parte del mondo hanno portato il loro sigillo in qualsiasi epoca, dando vita a residenze eclettiche, veri e propri attestati di presenza. Per cui ho acquistato direttamente dai senzatetto i loro posti letto e li ho assemblati fino a raggiungere la dimensione necessaria alla realizzazione di due sagome in scala dei Faraglioni, che ho poi dipinto sul fronte come un’enorme scenografia, mentre sul retro compare l’assembramento dei 46 cartoni utilizzati: da qui il nome “46 posti letto”. Per me il lato interessante è quello posteriore e prevede un piccolo sforzo da parte del fruitore per oltrepassare il livello frontale e guardare anche il lato posteriore dell’installazione, che ho voluto sorretta da tubi innocenti a vista, a testimoniare che è l’uomo a sorreggere la percezione dei due grandi scogli. I tubi sono ormai una sorta di elemento distintivo del mio lavoro, da quando studio i cantieri sotto sequestro dell’area partenopea.
Tornando alle “questioni di appartenenza”, il concetto di proprietà/possesso si esprime in modo iperbolico nel pezzo di recinzione costruito con pietre che indicano spazi gelosamente difesi e custoditi. Un muro che però, anche in questo caso, è un invito ad andare oltre…
Oltre a riallacciarsi al discorso precedente, l’opera indaga in modo più preciso il vero argomento che ho cercato di trattare in questa mostra, ovvero il processo generante il mito. Perché percepiamo Capri come un luogo mitico? Questa domanda ha indotto una serie di ricerche e mi ha portato alla conclusione che il mito è una sorta di alchimia generata dal rapporto perfetto fra natura, lavoro dell’uomo e percezione del pubblico. Più alcune persone difendono l’isola e vi investono per curarne l’ esclusività, più il pubblico che vi può accedere solo per una visita temporanea ne alimenterà il mito stesso.
Se tutti dicono che Capri è meravigliosa, allora magicamente lo diventa, superando i suoi stessi limiti e sovrapponendo al reale il percepito (percezione e realtà sono per me le cose più vicine in assoluto). Così realizzare un muro su ogni pietra del quale (pietre locali normalmente posizionate ad angolo delle proprietà terriere) è stata apposta l’incisione “proprietà privata” fa capire quanto ogni millimetro dell’Isola Azzurra sia conservato ed artefatto, tutelato e posseduto, desiderato e amato.
Ed è anche grazie a questa ben coltivata aura di luogo privilegiato se l’isola nel corso del tempo ha mantenuto inalterato il suo fascino…
La mia indagine sul mito caprese prosegue nei cinque collage di immagini provenienti da cartoline e piccoli poster, fotografate da due collezioni, quella di Luciano Garofalo e quella della famiglia Lepore-Mayer. Con queste ho costruito una serie di lavori che non rispondono più a leggi terrene quali gravità, prospettiva, profondità e realtà, ma risiedono nell’area dedicata al mitologico. Ho generato landscape in cui ogni punto di vista è possibile e skyline che moltiplicano all’infinito i miti dell’isola, in un rafforzamento che proprio le migliaia di immagini che circolano nel mondo hanno generato. Ho deciso di usare le cartoline ed i poster perché non volevo aggiungere immagini dell’isola a quelle esistenti, bensì utilizzare quelle che negli ultimi 130 anni sono state il veicolo dell’iconografia di Capri nel mondo, responsabili dell’attenzione di massa nei confronti dell’isola, attori attivi nella costruzione del mito. All’interno delle opere vi è anche una citazione del lavoro stilistico e pittorico che Diefenbach ha portato avanti ad inizio del Novecento: contro la tendenza estetica che viaggiava vorticosa dietro alla rivoluzione industriale, lui indagava l’identità di una natura madre e mitologica che ha visto molte volte le rocce di Capri come soggetti prediletti. Le argomentazioni di queste storie considerate “minori” sia in arte che in architettura sono un’altra mia fissazione: narrarle ci permette di comprendere meglio la prospettiva futura.
Capri B&B – Behind and Beyond_ a cura di Adriana Rispoli_ Capri, Certosa di San Giacomo
(3 giugno – 24 luglio 2016)