A distanza di oltre un anno dal debutto in Italia, Steven Cox torna alla galleria Annarumma (chiusura il 10 dicembre) con una serie di opere che proseguono la sua riflessione sui limiti e le potenzialità della pittura. “Language Barrier” è un ciclo vivace e immediato, che pare corrispondere in modo letterale all’antico dettato “ut pictura poesis”: tramati di strisce policrome, su sfondi assolutamente neutri e grezzi, i suoi dipinti, ritmati da continui a capo, rimbalzano l’immaginazione su fogli pentagramma o di quaderno, dove il pastiche tecnico traccia ideali proposizioni assertive. Tra pieni e vuoti, l’ordine compositivo ripercorre sforzi e vie già battute: il cammino della pittura, specie moderna, è costellato di tentativi di abbattere il limite fisico, oggettivo della tela, ingaggiando con questa lotte ora geniali ora fallimentari. Cox ci prova a modo suo, dipingendone entrambe le parti, e lasciando che l’una assorba l’altra. Recto e verso vivono in osmosi, lasciandosi permeare con soluzioni e gradi differenti da una materia ora labile e casuale, ora precisa e pesante: spruzzato, addizionato, “timbrato”, stratificato, sfregato, il colore resta tuttavia prigioniero del conflitto della bidimensionalità, barriera irta di ostacoli e, dunque, di stimoli. Se si guarda oltre il (frainteso) “discorso mentale” legato alla pittura, nel XXI secolo rimane salda la sua “altra” natura, concreta e carnale, condannata ad uno spazio che pare messo lì apposta per essere trasgredito. Allo spettatore non resta che leggere, tra le righe, l’esito di un appassionato corpo a corpo.
(Articolo pubblicato sul Roma, 9 dicembre 2016)