Addio, Gianni. Alla soglia degli ottantun anni, scompare Jannis Kounellis. Nessun necrologio, nessun “coccodrillo”, può riuscire a sintetizzarne la lunghissima carriera, né a sottrarsi alle frasi fatte. È morto un grande artista. Greco o italiano, importa solo all’anagrafe: nato nel 1936 al Pireo, si era trasferito a Roma alla fine degli anni Cinquanta. “Che la terra ti sia lieve” è il saluto che molti, specie sui social, indirizzano a un maestro che della materia aveva straordinaria contezza. Lui, dapprima pittore, aveva saputo riconoscerne il peso e la qualità, e osato accostare l’inavvicinabile: lana, ferro, carbone, caffè, fuoco, sacco, legno, pietra; e poi la natura viva: cavalli, pappagalli, piante, fiori.
A Napoli debutta nel 1969 presso la Modern Art Agency di Lucio Amelio (che lo vorrà anche per “Terrae Motus”, ora ospitata alla Reggia di Caserta); l’anno precedente, aveva contribuito alla nascita dell’Arte Povera, nella collettiva curata da Germano Celant per Marcello e Lia Rumma agli Arsenali di Amalfi. Nel 1989, espone al Museo di Capodimonte l’installazione con gli orci tuttora visibile al terzo piano. Grazie agli Annali dell’Arte, tra i capisaldi della pianificazione culturale del “rinascimento” bassoliniano, Kounellis diventa una presenza abituale in città. Nel 1996 firma l’intallazione natalizia in piazza del Plebiscito, “Offertorio”: una pioggia di armadi appesi sotto il colonnato, fiammelle che ardono su una lunga lamiera e decine di bilance pendenti dalle colonne dell’emiciclo. Sulla facciata di San Francesco di Paola tornerà due anni dopo, con una delle “Bandiere di maggio”. Dal 1998, in via Ponte di Tappia svetta il suo Mulino di ferro. È nel 2006 che il neonato Museo Madre gli dedica un ampio tributo, ripercorrendo cinquant’anni di carriera e venticinque di sodalizio con Amelio (gli altri galleristi partenopei sono stati, successivamente, Alfonso Artiaco e, da ultimo, Eduardo Cicelyn). Una retrospettiva monumentale, la prima tra le grandi monografiche nel Museo Donnaregina, che conferma il particolare legame di stima e di affetto con l’artista greco; per l’occasione, scatenando le ire degli animalisti, viene riproposta per qualche giorno anche l’azione con i cavalli vivi, presentata per la prima volta nel 1969 alla galleria capitolina L’Attico. In via Settembrini Kounellis lascia un altro, imponente segno: la gigantesca àncora e la vetrata con i colori dello stemma di Napoli, realizzata per la collezione permanente al primo piano. Un’opera che non subirà le traversie degli altri lavori che l’artista, in polemica con la nuova gestione istituzionale seguita al cambio della guardia politico, deciderà di ritirare.
Ma il lascito più evidente è senza dubbio l’installazione realizzata per la stazione Dante della metropolitana, disegnata da Gae Aulenti e inaugurata nel 2002: ogni giorno, centinaia di viaggiatori passano davanti alle sue scarpe, “intrappolate” sotto pezzi di rotaia, metafora delle vite in transito.
Cappello e cappotto neri, gli inconfondibili baffoni, anche Gianni il greco è arrivato al suo capolinea. L’Olimpo, probabilmente.
(Articolo pubblicato sul Roma, 18 febbraio 2017)