Sarà che da quando è arrivato a Napoli si sente «tutto tellurico», ma Gianluca Panareo sembra animato da intenzioni esplosive. Tocca a lui inaugurare – il 9 e 10 giugno, a partire dalle 21– le “Aperture” del Riot Studio, format pensato da Marco Izzolino che ha coinvolto diversi soggetti del territorio, come l’azienda TecnoSistem, il Dipartimento di Musica Elettronica del Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento e la residenza Super Otium. In effetti, la macchina scenica orchestrata dal 29enne pesarese, mosso dall’ambizione di proporre “una controriforma estetica, elettronica e barocca dell’immagine della città”, è piuttosto complessa. L’intervento si sviluppa come un itinerario dantesco, che dalla portineria si snoda attraverso il cortile, per proseguire nell’ex tipografia sul ballatoio, ed occupare tetto, giardino pensile e scale, fino alla sala nera. Un percorso iniziatico innescato da un monumentale e potente “obelisco”, simile a quelli che svettano nelle piazze del centro storico: una torre di casse acustiche che, grazie a un software, rielabora il fragore delle pallonate scagliate su lastre metalliche. Ancora: un robottino tosaerba che illumina le statuine di terracotta realizzate da Tiziana D’Auria; ex voto sparsi tra gli alberi; bombole tagliate e suonate come un carillon; infine la “musica” ricavata – anche qui grazie al computer – dalla vita pulsante in una performer, distesa e velata come il Cristo di Sammartino. Ombre, fumo, rumore, modulazioni sonore. C’è di tutto. Troppo? «Il mio approccio – precisa Panareo – è in termini di dosaggio dello spazio. In agraria si usa l’espressione “sesto d’impianto”: la disposizione geometrica delle piante nello spazio agricolo, affinché ciascuna abbia lo spazio adatto per crescere bene. Io faccio lo stesso con la distribuzione dei miei “impianti” artistici, affinché le persone possano vivere bene le proprie emozioni. Palazzo Marigliano è già organizzato in più livelli e questo ha facilitato il lavoro». Il site-specific ha potuto perciò articolarsi secondo diverse modalità, senza obbedire ad alcuna gerarchia: «Corpo, macchina, ambiente, luce sono sullo stesso piano nella costruzione degli scenari. I vari strumenti sono usati e dosati a seconda del tipo di intervento». Già: dosare. Equilibrare. Perché, tra presepi, Cristi velati e Maradona bisogna dribblare pure i cliché: «I luoghi comuni su Napoli sono così tanti che è difficile non toccarne nessuno. La città vive anche di stereotipi, io ho cercato di andarci a confliggere per trasformarli. Poiché tutto il progetto ha a che fare con la memoria, ho cercato di evitare la rievocazione del passato. Il passato è un riferimento, una risorsa culturale; non va rievocato, ma rivissuto emotivamente e rivitalizzato». Sicché, come ogni viaggiatore ctonio che si rispetti, anche Panareo ha avuto, idealmente, il suo Virgilio: dopo l’omaggio (da buon marchigiano) al Pergolesi dello Stabat Mater e alla capuzzella dispersa di Leopardi, per addentrarsi nel ventre molle di Napoli ha optato per Caravaggio. Ne sono scaturite, oltre a cinque minifilm e a una serie di fotografie, inattese ricadute sociali, come l’ingaggio dei bomber-scugnizzi che libereranno – in uno spazio chiuso e “autorizzato” – quell’energia viscerale che è propria del genius loci. Filo rosso, l’invito a ricordare, “Memini”: il motto inciso su finestre e portali di Palazzo Marigliano che dà il nome alla mostra. Nella lingua latina, un verbo che ha solo le forme del passato, perché la memoria ha radici lontane. E all’imperativo non usa il presente, ma il futuro.
Ingresso libero su prenotazione: aperture.riotstudio.it
(Articolo pubblicato sul Roma, 8 giugno 2017)