Un colpo. Due. Tre. Il battito di un cuore. Lento e poi veloce, più veloce, impazzito: tamburo di guerra, gragnuola di proiettili. Infine, un movimento lento, sinuoso: le onde del mare, l’abbraccio di una notte stellata. “Tutto è possibile se una donna innamorata balla il flamenco”. E tutto è possibile se una donna innamorata delle parole s’innamora di una donna innamorata che balla il flamenco, anche se è vissuta quattrocento anni prima. Armida Parisi, insegnante e giornalista, caporedattrice della pagina culturale del “Roma”, presenta domani alle 11 al “Blu di Prussia” il suo primo racconto o, per dirla con un termine forse passato di moda ma più confacente, la sua novella dedicata a “Maria la Bailadora alla battaglia di Lepanto” (Edizioni Frame Ars Artes). A parlare di questo libro d’artista illustrato da Daniela Valentino e voluto da Paola Pozzi, che nella prefazione illustra il progetto e tratteggia lo sfondo storico, saranno Francesco Durante e Giovanna Mozzillo, “moderati” da Francesco Di Domenico e accompagnati dalle letture di Antonella Stefanucci e dalle musiche di Romano Lippi.
Chi fosse Maria lo scoprirete pagina dopo pagina, avvolti da una scrittura che, come un gioco seducente, nasconde più di quanto non riveli e che, ondeggiando e picchiando a ritmo di flamenco, dissemina gli elementi essenziali, emotivi più che narrativi, di un componimento “misto di storia e d’invenzione” linguisticamente acceso di accenti spagnoleggianti.
Tocchi di pennello ora nervosi ora morbidi, come i piedini e le anche della protagonista sotto una gonna che muta in corazza: gitana focosa e pura, antesignana delle tante Carmen in cui s’incarna l’anima di una terra misteriosa e ferina, la Bailadora danza nelle taverne di Napoli. Offerta agli sguardi di tutti, ma in realtà posseduta da uno solo: don Jeronimo de Anguilar, capitano dell’ammiraglia che guida l’immensa flotta della Lega Santa contro l’Impero Ottomano. 7 ottobre 1571: nelle acque di Lepanto si consuma uno scontro epico, più per il dispiegamento di mezzi e l’impatto emotivo sull’immaginario coevo che per la reale portata di una battaglia tutto sommato rapida, apice del conflitto tra due mondi, quello cristiano e quello musulmano. Da un lato la potenza turca, in piena espansione nel Mediterraneo; dall’altro gli stati italiani e la Corona iberica di Filippo II, riunite sotto il vessillo benedetto da papa Pio V e “assistite” dalla Vergine del Rosario (che infatti diventerà il fulcro di una copiosa iconografia celebrativa).
Maria la Bailadora è lì, accanto al suo hidalgo, travestita da archibugiere. Non sappiamo come sia riuscita a imbarcarsi sulla “Real”, non riusciamo a vederla mentre dà prova del suo valore, persa nel fumo, nel rombo dell’artiglieria, nelle urla e nel sangue. Perché alla fine quella che ci resta nel cuore non è l’eroina di cappa e spada, ma la ragazza che, seduta sul molo, si confida malinconica col suo amico Miguel. Una piccola donna fragile, forte, moderna.
Sarà per questo che le diciotto tavole di Daniela Valentino hanno scelto di non imitare la tenebrosa pittura dell’epoca, ma di suggerire con la freschezza della china e dell’acquerello il canto di un amore libero e solido, rotondo e senza orpelli, come la fisicità elementare e “materna” che danza da una pagina all’altra. Corpi inebrianti come fiori carnosi e tuttavia leggeri come l’aria, pronti a volare nelle trasparenze di un sogno dalle tinte semplici e vive, in cui tra i pesci e le reti, le bolle e le sartie, sbuca sempre un topolino. Volete sapere di chi è quel musetto? E perché Miguel non è un amico qualsiasi? Prendete il libro. Leggetelo, toccatelo, annusatelo. E se una lacrima inumidirà l’inchiostro, o allargherà il colore, è normale.
Tutto è possibile se una donna innamorata balla il flamenco.
(Articolo pubblicato sul Roma, 27 ottobre 2017)