Il Fato quotidiano

17 maggio 2011

Se c’è uno che non si toglie dalla testa, quello è Bach. State pur certi che, se uscite di casa la mattina con l’ipod nelle orecchie e schiacciate “play” su una sua qualsiasi partitura, dalle Variazioni Goldberg ai Concerti Brandeburghesi (tanto per citare i più “disponibili”), ma anche se vi accadesse di captarlo en passant alla radio, quella musica non si schioderà dal vostro cervello per tutta la giornata. Una persecuzione. Di alto livello, ma pur sempre una persecuzione. Comunque se non ci credete fate una prova. O fate come me. In questo momento infatti sto guardando, sul sito di Lithiumproject, la mostra di Matteo Fato. La videoanimazione parte col cicalino di una sveglia (esiste suono più molesto?), poi una mano senza volto si avvicina ad una pila di cd, ne sceglie uno, lo infila nel lettore e… tutto cambia: le dita che corrono sul pianoforte sono quelle di Glenn Gould, le note quelle del Concerto Italiano del genio di Eisenach. Sottofondo? Nient’affatto. Anche perché, come una bacchetta magica, il cd ha trasformato il prologo – cioè il video tradizionalmente inteso – in una serie di disegni, 1093 per la precisione, frutto di una rielaborazione grafico-digitale di ciascun fotogramma. Netto lo stacco tra la prima e la seconda parte: laddove il girato ha un’estetica “sporca”, amatoriale, nella seconda la lettura degli ambienti viene esplicitata dalla sintesi del tratto. In una parola, è come se l’arte avesse un potere superiore nel “raccontare” la realtà. Dunque, altro che sottofondo: musica e immagini si ritrovano in una geometria comune, in una medesima meccanica, parti di uno stesso rito. Ossessivo, metodico? Non più della solita quotidianità. Un lavoro “di repertorio” (2006), di cui si apprezzano soprattutto le soluzioni di luce, elemento dominante che fa scomparire o risaltare le cose, evocando con una certa efficacia le atmosfere: il gatto acciambellato sul letto, la porta che si apre sul pianerottolo, il manubrio della bici in primo piano nella discesa lungo le scale, i riquadri del pavimento, la penombra dell’androne, infine il giorno abbacinante che esplode oltre il portone di casa. E dopo?

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

[Eugenio Montale, Portami il girasole, da Ossi da seppia]

 

Matteo Fato_ Autoritratto (1)_ a cura di Alessandra Troncone_ Napoli_ Lithium

(13/27 maggio 2011)

 

In alto: Matteo Fato_ Autoritratto(1)_ 2006_ 1093 disegni digitali_ courtesy dell’ artista

 

 

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