Al Palazzo Ducale di Genova c’è una mostra curiosa (e gratuita). Curiosa perché parla di una storia che ormai viene evocata solo di tanto in tanto come spettro dal solito demagogo, con quella “s” che sibila minacciosa tra le fessure della dentiera, plaudente la claque. La “s” è quella dell’aggettivo “comunista”, perché l’esposizione si chiama “Avanti popolo”, sottotitolo “Il PCI nella storia d’Italia”. Ma il fatto ancor più curioso è che accanto c’è il logo delle celebrazioni per il Centocinquantenario dell’Unità. Definire ‘curiosa’ la circostanza è, naturalmente, una provocazione, per quanti non avessero presente che la storia del Partito Comunista d’Italia prima e Italiano poi (così come quella della Dc, o del Psi, o del Msi, tanto per fare i pluralisti) ha coinciso con quella nazionale.
Un’operazione itinerante, di carattere didattico, multimediale e interattivo: fotografie, filmati, schede. Monitor ovunque, tappeti rossi e, sotto i piedi dei visitatori, cronologie sinottiche, il percorso racconta la storia del Partito dalla scissione di Livorno del ’21 al Congresso di Rimini settant’anni dopo, quando “la Cosa”, per dirla alla Nanni Moretti, diventò il Pds. E se la mostra si chiama “Avanti popolo” un motivo ci sarà, perché, accanto ai vari Gramsci, Amendola, Togliatti, Berlinguer & co., ancor più interessanti sono le sezioni inerenti il ruolo dei militanti, dall’evoluzione del mondo del lavoro ai mutamenti sociali nel “secolo breve” tricolore: le lotte operaie, l’emancipazione femminile, la conquista del suffragio universale (ehi, oggi è il 2 giugno). Certo non manca la nostalgia, con le tessere e le vecchie bandiere di sezione, ricordando quanti sono scesi in piazza sotto quei drappi in nome dell’Ideale, magari rischiando la vita per nasconderli o sventolarli (all’epoca si chiamavano ancora compagne e compagni, e ne parevano orgogliosi, finché non è stato detto loro che bisognava vergognarsene, come di un appellativo infamante). E come non commuoversi, onorando le vite troncate di gente con la schiena dritta come Guido Rossa e Peppino Impastato? Però ci sono pure – e ci mancherebbe – il XX congresso del Pcus, i carri armati a Budapest, la Primavera di Praga, gli anni di Piombo.
Non solo. Fermatevi davanti alle vignette di Cipputi e Bobo, e ci ritroverete il lungo travaglio della sinistra italiana. A chi è abbastanza vecchio da ricordarselo (come la sottoscritta), fa venire in mente ad esempio la “svolta” della Bolognina con tanto di lacrime del segretario Occhetto, cui seguì – oltre ad una ripetuta scissione dell’atomo – una specie di psicodramma collettivo, con la “base” percossa e attonita che assisteva agli autodafé della nomenclatura. Una sorta di ebbrezza da espiazione, mentre la più rocciosa “chiesa parallela” della Repubblica si digregava e il “kennediano” Veltroni prendeva a dirigere l’Unità a colpi di Pizzaballa e Truffaut in allegato.
Tornando alla mostra di Genova. Qualcuno ovviamente criticherà il taglio, o l’iniziativa in toto, però, se è vero che il bene e il male non stanno mai interamente da una sola parte, in un Paese dove si vorrebbe fare, repubblichini e partigiani, tutt’erba un fascio, un’esposizione così serve a ripassare un po’ di storia ed, eventualmente, a riflettere.
fino al 5 maggio 2011_ Genova, Palazzo Ducale
www.ilpcinellastoriaditalia.it
In alto: Renato Guttuso_ I funerali di Togliatti_ 1972 (particolare)