Biella in frac

29 luglio 2009
Ieri, oggi e domani. Nuovi spazi per la Fondazione Pistoletto che, oltre a ospitare la collezione del Frac con convegno incluso – ne abbiamo parlato con Andrea Bellini -, per tutta l’estate scende in passerella. Con una rassegna cinematografica dedicata alla moda eco-sostenibile. Per una cittadinanza attiva. E soprattutto creativa…

Lungo e diritto corre lo stradone. Case basse e fabbriche (alcune da manuale d’architettura), in un verde che non ha niente della classica suburra industriale. Ci s’inerpica un po’su per le colline e si è a Cittadellarte. Si capisce allora perché Michelangelo Pistoletto investa sul Bio Ethical Sustainable Trend quale punto di forza della sua fondazione, recentemente allargatasi con due nuovi spazi. Corpi di fabbrica restaurati con materiali eco-compatibili, destinati ad accogliere il “Museo del Futuro”, ovvero l’“uffizio” architettura di una struttura pluricellulare per dislocazione e finalità. E se cristallizzare l’avvenire è una visionaria contraddizione, ancor più utopistica sembra, nel paese del Piano Casa, l’idea di creare una “terza pelle” espressione che designa i luoghi dell’abitare rispettando la natura. Eppure in questa ex centrale idroelettrica ottocentesca e nell’adiacente manifattura tessile di inizio Novecento è accaduto: finiture di calce naturale e argilla, pannelli di sughero espanso, elementi portanti in legno d’abete, vernici di origine vegetale… E poi, chi conosce il maestro degli specchi sa quanto l’ordinale “perfetto” gli stia simpatico, come dimostra il progetto del Terzo Paradiso che, pur nell’amore per le differenze, propugna un pacifico sincretismo. Magari partendo dalle sponde del Mediterraneo, sfondo di un altro obiettivo nevralgico: la didattica. Va da sé che ad abitare la “nova civitas” sostenibile dovranno essere infatti uomini nuovi. Non già, beninteso, gli ipercorpi frutto di un delirante perfezionismo chirurgico-ideologico, ma gli attori di una trasformazione sociale responsabile, da “allevare” fin da giovanissimi.

Così, in attesa di sedere un domani ai tavoli dei summit internazionali, alunni e studenti oggi s’accomodano intorno a sagome stilizzate del Mare nostrum, su sedie e seggioline di varie fogge che colorano il vasto, luminoso vano con affaccio mozzafiato sul greto del torrente Cervo, al centro del quale troneggia un’enormemela ricoperta di riccioli di lana. È il cuore del Museo del Presente (che va ad aggiungersi a quello del Passato, dove la raccolta di Arte Povera e le opere di Pistoletto impartiscono concrete lezioni di storia dell’arte), kunsthalle dedicata agli allestimenti temporanei. Attualmente visibili Place beyond borders, collettiva sui luoghi di conflitto in Medio Oriente dalla decisa impronta documentaria; l’altrettanto impegnata Le costellazioni degli altri, personale in cui il colombiano Juan Esteban Sandoval parte da una pallina da golf per puntare il dito contro lo sfruttamento delle risorse nei Paesi in via di sviluppo, simboleggiando al contempo l’organizzazione reticolare di alcune comunità indigene; infine, la collezione del Frac, già vista al Guggenheim di Vercelli e a Boves (e attesa in futuro a Bardonecchia), che prosegue qui la sua tournée, proponendosi fra gli eventi collaterali della prossima Artissima. Un ampliamento dei luoghi che corrisponde a un’estensione degli interessi. Per il suo 11esimo anno di vita, infatti, combinando pragmatismo piemontese e coolness, archeologia industriale e design contemporaneo, Cittadellarte apre a forme alternative di (auto)finanziamento: dopo il restyling del bookshop, all’orizzonte lo sviluppo d’iniziative agricole e commerciali a chilometro zero (filosofia che già ispira anche il ristorante-caffetteria).

Ma soprattutto, quasi per rispondere alla vocazione produttiva territoriale e al genius loci (la Fondazione ha sede in un ex lanificio), volge lo sguardo alla moda, ovviamente “bio”, filo rosso di una rassegna di film e dibattiti “per vedere glocalmente e agire localmente” (recita il sottotitolo) in programma per tutta l’estate a ingresso libero. Gli incontri e le proiezioni culmineranno, il 22 settembre, in una tavola rotonda cui parteciperà la “zarina” di Vogue Italia Franca Sozzani. Perché anche nel fashion un altro mondo è possibile. Tornando al discorso Frac, una tavola rotonda ha preceduto la rassegna in Fondazione. Tavola rotonda che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Andrea Bellini, direttore di Artissima e qui in veste di curatore della mostra sulle nuove acquisizioni. E proprio con quest’ultimo “Exibart” ha sollevato una serie di questioni critiche venute a galla anche dagli interventi dei curatori e critici presenti in sala durante l’incontro.

I Frac nascevano dell’esigenza tutta francese di decentralizzare la politica statale sull’arte contemporanea, troppo legata alle attività della capitale. Significava dar vita a centri che erano fondamentalmente luoghi di creazione e incontro in zone poco sensibili agli investimenti in cultura contemporanea. L’Italia non è nella posizione economico-culturale della Francia degli anni ’80, né la Regione Piemonte può travestirsi da unico committente nazionale… Ciò non comporta una contraddizione in termini nelle finalità? Io non vedo nessuna contraddizione in questo, al contrario la storia del nostro Paese è fatta proprio di iniziative e processi che nascono nella Provincia, e lì rimangono. In fondo, città come Torino, Firenze, Milano, Napoli, Parma, Venezia ecc. sono state per secoli capitali autonome, veri centri politico-culturali. La storia della Francia, come sai, è molto diversa: tutto gravita su Parigi e tutto s’irradia da Parigi. La stessa rete ferroviaria francese riflette quest’approccio, questa struttura centripeta. Per andare da Lione a Parigi si impiegano due ore con un Tgv, da Lione a Bordeaux è sicuramente meglio andare a cavallo, si fa prima. Quindi, dato che il nostro Paese sull’arte contemporanea è latitante almeno dagli anni ‘30, trovo straordinario che regioni come il Piemonte prendano l’iniziativa e organizzino autonomamente la propria politica culturale.

La Francia ha un modo assolutamente francese di gestire il patrimonio artistico nazionale: dagli anni ’70 la didattica, la diffusione e l’interazione con gli utenti sono gli ingredienti di una propensione alla “prosaicizzazione” dell’arte che stride con il panorama artistico italiano, in cui sono spesso soltanto gli addetti ai lavori a esser interessati al settore. Come affrontare questo problema? Emigrando, oppure con la pazienza: prima o poi arriverà anche in Italia un governo in grado d’impostare una politica culturale seria e coerente. Però, come avrai capito, bisogna avere veramente molta pazienza.

Hai detto che una delle potenzialità del Frac piemontese sta nel funzionare da catalizzatore delle energie locali (curatori, artisti, committenti…). Come concretizzare questa vocazione (tanto più che quest’anno scade il tuo mandato ad Artissima)? E cosa fare di una collezione senza sede? Per il 2010 stiamo organizzando una tavola rotonda con tutto il mondo dell’arte contemporanea piemontese. La mia speranza è che da quest’incontro, grazie al contributo di tutti, nasca la struttura organizzativa del Frac regionale. Il Frac è uno strumento, può quindi funzionare bene o male, dipende da come lo si usa. Io vorrei che fosse il sistema dell’arte di questa Regione a decidere come debba essere utilizzato.

In questo panorama di differenze tra Francia e Italia, come valuti la possibilità di aprire altri Frac nelle altre regioni italiane? Quali i rischi? Non penso sia possibile, attualmente, che un’altra Regione italiana si doti di un Frac, e credimi, non è nemmeno una questione di denaro (quello c’è e lo si spreca) ma una questione culturale. Il nostro Paese rispetto alla Francia, ma non solo, è in estremo ritardo sul contemporaneo.

Dopo tre anni di acquisizioni, qual è il filo rosso delle scelte della commissione del Frac (attualmente composta da Christine Macel, Francesco Manacorda e Agustin Pérez Rubio) sostenute dalla Regione? Quali i budget stanziati? La commissione, i cui membri tendono a ruotare, acquisisce le opere nella più completa autonomia. La sola indicazione che diamo è quella di comprare opere di giovani artisti, il cui costo non superi i 20mila euro. I fondi stanziati non sono molti (150mila euro annui) ma se ben spesi possono dar vita a una collezione interessante.

anita pepe

intervista a cura di emanuela genesio

Cittadellarte – Fondazione Pistoletto Via Serralunga, 27 – 13900 Biella Info: tel./fax +39 01528400; fondazionepistoletto@cittadellarte.it; www.cittadellarte.it

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