Christian Leperino alla NOTgallery
Per andare avanti guarda indietro, Christian Leperino, quest’anno quanto mai alacre sulla scena napoletana: a cadenza quasi mensile, inanella la personale al Suor Orsola Benincasa nell’ambito de “Il sabato delle idee”, la performance al Museo Mineralogico e adesso l’esposizione alla NOTgallery, che di quell’azione presenta i “relitti” remixati. Che il corpo sia da anni oggetto della sua ricerca è un dato di fatto. Il percorso dell’artista riesce però a trovare di volta in volta nuovi sbocchi: così, se anni fa era una pittura vicina allo stile dei graffitari, il suo linguaggio è andato poi evolvendosi verso la scultura. Adesso è il turno della ceroplastica: tecnica antica, che sfrutta un materiale dinamico. In cera era il cadavere adagiato sul tavolo settorio nel Museo di Palazzo Poggi a Bologna; in cera è l’esercito di piccoli Golem, replicanti dal cuore di pietra, messi in fila nello spazio di piazza Trieste e Trento 48. Al centro del petto, i minerali – luccicante pirite, dolce ambra, sfolgorante zolfo – sostituiscono la parola “emet” (“verità”) che, secondo la mitologia ebraica, veniva tracciata sulla fronte del colossale umanoide d’argilla, “antenato” dei cyborg su cui spesso si è soffermata l’attenzione del 30enne di Ponticelli. Al centro della Project Room, isolato in una teca su un piedistallo, vi è però un Golem ancora “vergine”, metafora delle possibili declinazioni della demiurgia artistica, ma anche prototipo preservato dal medesimo potere vivificante. Le figurine sono, a loro volta, emanazione dell’imponente scultura in argilla realizzata da Leperino in occasione dell’operazione – documentata da un video, anch’esso in mostra – culminata lo scorso 21 maggio con una performance nella raccolta universitaria di via Mezzocannone. «La volontà – spiega l’autore – era quella di portare un laboratorio in un museo “di nicchia”». Di trasportare, cioè, il plasmare e il costruire in mezzo a teche di materiali inerti e stricto sensu cristallizzati. Processo amplificato non solo dalle dimensioni della statua, ma dal gesto, impressionante, di scavare da tergo il torace della “Creatura” con la mano che manipola la creta e successivamente colma il vuoto con un composto di cera e paraffina, dopo avervi inserito una pietra. Così come imprigionato nel gesso refrattario è un altro Golem, stavolta in alluminio, oggetto di una parentesi concettuale: calore fuso nella massa dura, vicina alla visione michelangiolesca della scultura “per via di levare” e agli esperimenti “animistici” beuysiani. Sulla parete, un wall drawing illustra lo svolgersi di una performance che avrebbe dovuto liberare la forma dalla materia. Per scoprire se c’è stata, non resta che constatare in loco.
(Roma, 11 luglio 2009)