Tetre visioni zoomorfe negli scatti di Teotino

1 aprile 2009

Alla Changing Role

Inquietante e sottile, Lamberto Teotino dissemina la Changing Role di tetre visioni. Incubi travestiti da foto, o foto travestite da incubi. Senza la sfacciataggine della truculenza, procede alla sua mise en abime attraverso il più elegante e crudele degli escamotages: sottraendo, alludendo, negando, nascondendo. Palpitando e vibrando. Nascono così i suoi “Dark natural meetings”, annunciati con l’inganno dal pannello in vetroresina, troppo giallo, troppo pop. Romantico e gotico, l’artista, napoletano d’origine e nomade per vocazione, s’aggira sul ciglio di un buco nero. Pericoloso e seducente allo stesso tempo, mortifero ed irresistibile come un canto di maligne Sirene. È lì, attorno a quel tondo buio e perfetto, soglia di un’insondabile profondità, che si concentrano le sue composizioni: vi si affollano le mosche di “Sarcophaga” che, come calamite, appoggiate alla superficie di un vecchio mobile auscultano il respiro cavernoso del loro diabolico Signore; vi si condensa “Rheuma”, ripugnante agglomerato di muffe e umori, concrezione parassita fiorita su una normalissima porta; vi si inchioda lo sguardo davanti agli scaffali della farmacia. Manifesto della mostra, in un certo senso, non solo perché i vetri satinati ne emblematizzano la visione velata di mistero, ma anche per le ambiguità (dis)percettive, frutto di una meticolosa manipolazione delle immagini, che scioglie impercettibilmente i contorni, li sbava, li liquefa, simboli di un mondo-presenza aleatorio e caduco, nel quale i prodotti di bellezza negli stipi lussuosi diventano oggetti di una “vanitas” contemporanea. Tecnica portata all’estremo, quella di Teotino, come in “Tenebrah”, goccia bloccata e ingigantita al punto da assumere le metalliche trasparenze di una forma zoomorfa, meticolosità che diventa essa stessa spaventosa, perfezione ossessiva proiettata oltre la soglia del vero e dell’illusione. Mai l’esplicito è chiave di questa ricerca, che impone talvolta citazioni colte: “Raskol’nikov”, come il tormentato protagonista del dostojevskiano “Delitto e castigo”, in cui una nuvola nera si addensa su un terso paesaggio; “Il rasoio di Occam” che, rinviando ai tre postulati del filosofo medievale, invita a non complicare le cose quando non è necessario e, quindi, a non chiedersi cosa ci faccia un tappeto in cima a un albero spoglio. Irride invece alla cosiddetta saggezza popolare “Il male di Gaudio”, ghigno beffardo rozzamente impastato che riflette sul perverso cinismo del detto di cui il “mal comune” rappresenta l’inscindibile premessa. Proverbio diabolico, su una via dell’Inferno lastricata di fotografie.

 

(Roma, 1 aprile 2009)

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