Allo Studio Trisorio
Caschi il mondo, loro non fanno una piega. Lo Studio Trisorio mette per un momento da parte i classici rigorosi che contraddistinguono la sua programmazione e manda in scena Harrison e Wood, contemporaneamente sul “palcoscenico” partenopeo alla Riviera di Chiaia 215 e su quello capitolino. In prima italiana, le videoinstallazioni del duo inglese, costituitosi nel 1993 dopo l’incontro, alla fine degli anni Ottanta, all’Art College di Londra. Lavori svelti, ironici, minimali, che hanno come presupposto una fase grafica e un’evoluzione in progress: per un’opera come “Notebook” – presente nella mostra napoletana – sono stati realizzati ad esempio circa trecento disegni, che hanno fornito la base per 101 sequenze. Un metodo che richiede dai sei ai dodici mesi di lavoro, tra progettazione, costruzione del set e riprese, generalmente all’interno di un “white cube”: tra le parole d’ordine dell’arte contemporanea, spazio neutro per definizione e perciò contenitore ideale. In questo caso, il bianco viene usato per analogia col foglio puro e immacolato, a sottolineare indirettamente l’importanza dello brain storming preliminare, e per far risaltare colori e oggetti. Elementi minimi, normali, ripresi in situazioni banali ma univocamente riconducibili a un’ossessione per la caduta, lo slittamento e l’equilibrio precario che, più che girare la chiave della metafora, acquistano un tono surreale attraverso l’iperbole del possibile. Un gioco di contrapposizioni ludicamente portato alla rottura, specchio delle rispettive, contrastanti personalità di una coppia che, memore delle precedenti esperienze performative, diventa essa stessa protagonista con ruoli ben definiti, sfidando la gravità e sfiorando l’assurdo con aria imperturbabile. Si crea in questo modo la situazione che definisce l’opera, aneddotica più che narrativa, ironica più che grottesca. Esteticamente impeccabili, caratterialmente taglienti, i flash di Harrison e Wood contraddicono la loro impassibile staticità con la leggerezza di spirito, un sense of humor senza pretese intellettualistiche la cui sottigliezza non sempre presume l’acume.
(Roma, 5 marzo 2009)