Nel Sacro Cuore di Franko B un linguaggio tra kitsch e barocco

28 novembre 2008

“Black paintings” alla Changing Role

Il corpo. Istoriato dai tatuaggi, ricamato dalle cicatrici, trafitto dalle espansioni, rivestito di metallo. Il corpo. Martoriato e decorato. Il corpo. Franko B è, per il pubblico, soprattutto questo. Perché il suo corpo è stato, ed è, oggetto e protagonista delle performance che lo hanno reso celebre: “rappresentazioni” intense, profonde, come viscerale e carnale è la città, Napoli, dove l’artista, arrivato per la prima volta in occasione della mostra alla Changing Role, è andato ad “incontrare” le Sette Opere di Misericordia di Caravaggio, il grande maestro degli scuri. E di “black paintings” ne propone anche lui, nella personale curata da Eugenio Viola: cinque grandi tele ricoperte d’acrilico nero, che assieme ad una coppia di installazioni costituiscono il “lato oscuro” di una mostra allestita seguendo una dicotomia cromatica, data in antitesi dalle foto di azioni tenute alla South London Gallery, a Malmoe e alla Tate Modern, in cui il il 48enne milanese, londinese dal 1979, si offriva agli spettatori nudo e Imbiancato, martoriato e, in “Aktion 389”, visivamente negato a se stesso da un “collare vittoriano”, di quelli messi ai cani per impedir loro di leccarsi le ferite, quasi a scongiurare il pericolo che possano inebriarsi del loro stesso sangue. Perché il dolore non è solo un fatto privato, ma un esercizio catartico, rituale, collettivo. Che, nella voyeuristica e ambigua liturgia dell’arte, sa mutarsi in teatro, attraverso un linguaggio gotico, barocco, kitsch. Ostentato più che esposto, partecipato più che comunicato. E, anche se non stricto sensu, performance c’è stata anche a Napoli, visto che – asseriva Franko B dell’inaugurazione – «tutto è performance», anche l’“accerchiamento” dei giornalisti, fronteggiato con una mitezza quasi ipnotica. Spiazzante, in uno che si è imposto “prove” estreme «per dare un contributo» alla società in cui vive. Contributo che è, e non può non essere, politico: perché la politica è ovunque, perfino nell’antipolitica e nell’astensionismo. E così la Union Jack e la bandiera a stelle e strisce tutte “impeciate” non sono più eversive della bacheca del tassidermista e dell’installazione terragna con ossa disposte con gusto ornamentale. Tutto vero? Chissà: «In fondo, che cos’è vero in arte?» se la ride l’autore, giurando però che l’unica cosa che gli interessa è la realtà. Una realtà che, nonostante le colate bituminose e cruente che la seppelliscono, non è lugubre e truculenta e non esalta la morte, bensì una vita che va difesa contro chi esige sangue in nome di patria e onore, e costringe corpo e anima nei ceppi della religione, necessità sociale evocata nell’ipogeo dai banchi di chiesa dorati e “immortalati” sotto la vetroresina di un credo sacrificale, cui opporre quello della libertà e dell’amore. In nome di un’esistenza da vivere «con integrità e dignità»: «Quand’ero ragazzo – dice Franko B – ho letto “Se questo è un uomo” e ho pianto. È per questo che sono diventato un artista».

 

 

(Roma, 28 novembre 2008)

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