Creator Vesevo, fiori nel deserto

31 ottobre 2008

Arida sì, ma fertile, la schiena dello “sterminator Vesevo”, almeno in quanto ad ispirazione. Partì nel 2005 l’esperienza-esperimento che ha portato un gruppo di scultori a disseminare le proprie opere sul tortuoso cammino che ascende al Gran Cono del “formidabil monte” cantato da Leopardi nella “Ginestra”. Fiori nel deserto anche queste installazioni che, nonostante la segnaletica, rischiano quasi di passare inosservate nel marasma di abusi edilizi e oltraggi ambientali che deturpano l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale, da secoli fonte di timori ma anche di grande ricchezza non solo per le popolazioni che vivono alle sue pendici, ma anche per il mondo della cultura che, dai poeti ai pittori, non ha saputo resistere al suo fascino “sublime”. Un’idea ripresa e sviluppata dall’architetto Massimo Iovino nell’ambito del progetto “Urban Herculaneum”, realizzata con il sostegno del Parco Nazionale del Vesuvio e del Consorzio per la tutela della pietra lavica vesuviana, materiale di rara tenacia al cui confronto “il marmo è burro” e che ha rappresentato una sfida per i dieci artisti impegnati, i quali a un certo punto hanno dovuto cedere il passo ai maestri scalpellini, depositari di un’antichissima perizia. Miguel Berrocal (Spagna), Mark Brusse (Olanda), Lello Esposito (Italia), Alexandros Fassianos (Grecia), Johannes Grutzke (Germania), Dimas Macedo (Portogallo), Denis Montfleur (Francia), Rùri (Islanda) e Antonio Seguì (Francia-Argentina) hanno pensato lavori forse non sempre ben integrati nel paesaggio circostante (l’ubicazione è stata estratta a sorte) e che implicano seri problemi di tutela, ma che attraggono in ogni caso lo sguardo, interpretando questo frutto delle viscere della terra che non può essere sentito se non in modo totale, carnale, pregno com’è di fuoco, mistero e passione, bloccati nella sua severa compattezza.
L’avventura di “Creator Vesevo” viene ora ripercorsa in un libro d’artista trilingue fortemente in debito verso i cugini d’Oltralpe, che hanno voluto così suggellare il legame tra Parigi e Napoli: francese è infatti il prestigioso editore, Gallimard; francese l’autore del testo in catalogo, direttore artistico e “patrono” dell’iniziativa Jean Noel Schifano, per sei anni alla guida dell’Istituto “Le Grenoble”, cittadino onorario e innamorato del capoluogo campano; francese, ma da quasi vent’anni naturalizzato partenopeo il fotografo, Alain Volut, che ha scelto il bianco e nero per raccontare, e non semplicemente documentare, passo dopo passo la nascita di questo museo a cielo aperto, “luogo totemico – scrive Schifano -, religioso e scientifico mondialmente ammirato, parte ardente e magica dell’identità europea”, che per una volta mostra il suo volto migliore. O almeno ci prova. Sfidando non già la natura matrigna ma, a parti invertite, la proterva ignoranza dell’uomo.

(Roma, 31 ottobre 2008)

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