Accardo, un esordio poco convincente

12 giugno 2008

Il maestro alla guida dell’orchestra giovanile dei quattro conservatori della Campania

Non è semplice parlare di una formazione giovane, sia per costituzione che per età media dei componenti. Pertanto è difficilmente valutabile il debutto dell’Orchestra Giovanile dei Quattro Conservatori della Campania (Napoli, Benevento, Salerno, Avellino) che, sotto la bacchetta di Salvatore Accardo, ha chiuso un Maggio dei Monumenti apertosi nel segno della musica, con il “Concerto in quintetto” di Nicola Piovani nella Chiesa di Donnaregina. È stato invece il San Carlo ad ospitare questo esordio, significativo ma non propriamente convincente. Atmosfera calda, più per la temperatura da serra (causa di qualche malore in platea e sul palco) che per l’entusiasmo di una sala non gremita, nonostante il “tutto esaurito” trionfalmente annunciato alla vigilia. Con un pubblico che, di certo, non era certo dei più severi e smaliziati, ma un uditorio d’occasione piuttosto bendisposto, che ha perdonato ad Accardo e ai “suoi” ragazzi le non poche imperfezioni, plaudendo soprattutto al violinista di Torre del Greco, prodottosi, una volta sceso dal metaforico “podio”, in un “Capriccio” di Paganini di accademico virtuosismo, bis giunto alla fine del primo tempo. Unica eccezione in un programma interamente beethoveniano, che però Accardo, cerebrale per timbro e temperamento, ha mostrato di non avere nelle sue “corde”: sicché è un Beethoven, il suo, che viene fuori a sprazzi, più per accessi impulsivi che per un sentire romantico profondamente assimilato da una compagine che, pur volenterosa nel compito, spesso sbanda (tallone d’Achille, i fiati). Procede lentamente la prima parte – il concerto per violino op. 61 – , con fraseggi talvolta estenuanti e un dialogo difficile tra l’orchestra e il direttore-solista che, bontà sua, non eccede (cedendo all’individualismo solo nel Rondò finale, che regala qualche nota espressiva). Seconda parte meno tediosa (“ravvivata” pure da qualche squillo di telefonino…) e più convincente, nonostante i succitati alti e bassi leggano la partitura della Quarta Sinfonia in modo poco fluido e compatto. I giovani musicisti, probabilmente sollevati dal “timore reverenziale” del confronto col Maestro, paiono comunque più affiatati. Un esperimento, in ogni caso, lodevole nelle intenzioni. Da sostenere con la costanza e il rigore indispensabili per dotare la neonata Orchestra di una propria fisionomia, di quel quid pluris che segna la differenza tra esecutore ed interprete.

(Roma, 12 giugno 2008)

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