Genova, Villa del Principe
Proseguono le celebrazioni per il quarto centenario della morte di Caravaggio, pittore “egregius in Urbe” e… altrove. Stavolta toccata e fuga a Genova, nella splendida Villa del Principe…
Tanto vale rassegnarsi all’overdose. Perché, accanto alla mostra dei record alle Scuderie del Quirinale, il quarto centenario della morte di Caravaggio ha preso varie diramazioni, costringendo a un assiduo turn over il ceppo principale. Proprio dalla rassegna capitolina è stato infatti prelevato anzitempo il Riposo durante la fuga in Egitto, cardine di un itinerario segnato dal “difetto” di molti dei progetti inneggianti al Merisi: ovvero il Maestro -spesso presente con un solo dipinto – e, dopo di lui, il diluvio. Eccezionale il palcoscenico: la Villa cinquecentesca di Andrea Doria, “principe e pirata”, a due passi dal porto e dalla stazione. Affreschi di Perin del Vaga, decori manieristi (martoriati da secoli di rivoluzioni, saccheggi, guerre), arredi ricercati, pregevoli tele, logge e giardini… chapeau! Meno memorabile, invece, il percorso rigorosamente di genere e giocoforza monotono – che, tra il pittoresco, il sublime e il documentario, ripercorre le ville, i casini di delizie e le collezioni della famiglia romano-genovese, da Pegli al Gianicolo, da Anzio e Nettuno ad Albano, con tanto di marine (tra cui quelle di Agostino Tassi), rovine e scorci agresti. Chiari l’impegno e l’impostazione, non così l’audioguida, talvolta farraginosa nel tener separata la descrizione delle sale da quella dell’esposizione tout court.
Stella polare, ovviamente, Caravaggio. Il cui capolavoro (Riposo durante la fuga in Egitto), acquistato a metà del Seicento dal principe Camillo Pamphilj per la villa Bel Respiro, rivela sullo sfondo il retaggio veneto e, nel pentimento dell’angelo musicante, tradisce l’originario rapporto tra paesaggio e figure. Già pienamente naturalistico San Giuseppe col suo bel fiasco di vino, mentre la Madonna e il Bambino si astraggono accoccolati nel sonno, in una pace che le opere successive difficilmente avrebbero conosciuto. Oltre che alla tela – primo soggetto devozionale noto del lombardo – e ai concetti di “evasione” bucolica e di “svago” impliciti nelle citate dimore patrizie, la “fuga” evocata da questo titolo così bachiano è associata al contatto tra Caravaggio e Genova. Scappato da Roma nell’agosto 1605 dopo l’aggressione al notaio Mariano Pasqualone (un affare di donne, nella fattispecie tale Lena Antognetti, cortigiana d’alto bordo nonché modella per quadri come la Madonna dei Pellegrini), il pittore riparò nella Superba presso Giovanni Andrea Doria, suocero di Giovanna Colonna, nipote della marchesa Costanza Colonna Sforza, storica protettrice dell’artista. Sostando però giusto il tempo necessario perché si calmassero le acque, e rifiutando perfino il cospicuo compenso di 6.000 scudi offertogli dal principe per un affresco.
E proprio con una digressione “fuori tema” sugli ulteriori legami tra il Merisi e il capoluogo ligustico si sarebbe potuta evitare la summenzionata consuetudine della pièce unique. Magari richiamando da Napoli il Martirio di Sant’Orsola, eseguito poco prima di morire per il genovese Marcantonio Doria. O approfittando per approfondire il dibattito sul controverso Ecce Homo di Palazzo Bianco, dove una mano dubbia ha attribuito a Pilato i tratti di Andrea Doria (quale occasione migliore per affiancarlo al ritratto di Sebastiano del Piombo in loco?). Un’occasione “a chilometro zero”, purtroppo… sfuggita.
anita pepe
mostra visitata il 27 marzo 2010