(Un)dangerous method

11 aprile 2012

Marina Abramovic_The Abramovic method_2012_courtesy Marina Abramović. Ph. Fabrizio Vatieri

C’è chi tiene gli occhi chiusi. E chi non ci riesce. C’è chi si è tolto le scarpe. E chi no. Sono ventuno, distesi, seduti, in piedi. Tutti indossano un camice bianco e un paio di cuffie per isolarsi. Tutti hanno dovuto lasciare in un armadietto l’orologio e qualsiasi intruso tecnologico. Tutti, alla fine, scriveranno le proprie impressioni e riceveranno un attestato.
Il battito di un metronomo scandisce il silenzio, per chi dei ventuno “visitatori attivi” non fa parte.
E il “visitatore passivo”, che tale poi non è, forse vorrebbe essere al posto di quelli che vivono in prima persona “The Abramovic method”. Una mostra-lascito, quella del PAC, che parla anche un po’ napoletano: partenopeo uno dei curatori (insieme a Diego Sileo), Eugenio Viola; idem la gallerista, Lia Rumma, che nella sede meneghina di via Stilicone ospita una sezione dell’evento.
Evento che ha attraversato l’Italia con proiezioni cinematografiche ed occupato i primi piani non solo della stampa specializzata, ma anche dei media generalisti e nazionalpopolari (vedi la puntata di “Quelli che il calcio”, dove l’artista serba ha duettato prima con Victoria Cabello e poi con Valeria Marini, “trasgressione” al di fuori delle solite nicchie, in barba ai pregiudizi).
Nei primi giorni di apertura milanese, è stata la stessa Abramovic a fare da trainer (poi, fino al 10 giugno, toccherà ai collaboratori. Prenotazione obbligatoria su www.theabramovicmethod.it). Voce tranquilla e profonda, un quid di controllato e virile nel piglio, impostava la respirazione, invitava ad essere “qui ed ora” e a “non pensare”. Qualche esercizio con le assistenti-coreografe e gli “spettatori attivi” erano pronti per provare a turno tre posizioni abituali della vita umana, sopra e sotto pietre – di quarzo, ametista, tormalina – catalizzatrici e propagatrici di energia.
Pare facile. Accadeva infatti che qualcuno perdesse i sensi (come l’assessore Stefano Boeri), che si addormentasse oppure non onorasse gli impegni sottoscritti, ovvero stare due ore immobile, in silenzio e con gli occhi chiusi. Le palpebre infatti si aprono per esorcizzare la perdita di punti di riferimento, o perché non c’è abbastanza autodisciplina, ma l’esperienza – spiega Viola – è comunque significativa: “Marina chiede ai partecipanti di donarle il loro tempo. C’è riuscita perfino in una città come New York”. Il riferimento è a “The artist is present”, maratona del 2010 in cui “Lady Performance” per tre mesi, sette ore al giorno, è rimasta ieraticamente assisa al Moma, mentre centinaia di persone si sobbarcavano lunghe attese pur di trovarsi faccia a faccia con lei. Una miriade di volti, esposta al PAC con un estratto del film che documenta questa prova già leggendaria, non meno estrema e massacrante di quelle cui Abramovic si è sottoposta in quarant’anni di carriera (tanto per rimanere sotto il Vesuvio, nei primi Settanta durante “Rythm 0” allo Studio Morra rischiò quasi di finire ammazzata).
Reazioni nella Grande Mela? Disparate: chi sorride, chi piange… Reazioni a Milano? Parimenti varie. I “visitatori passivi” possono infatti osservare i 21 “visitatori attivi” sia ad occhio nudo che attraverso binocoli e telescopi sistemati sul ballatoio del Padiglione (dietro, una piccola antologia di lavori precedenti), con esiti diversi: imbarazzo nello scoprirsi voyeur o nell’immedesimarsi in chi sa di essere scrutato in ogni dettaglio; oppure, totale indifferenza di fronte a individui ormai mutati in impassibili “oggetti”.
Da Lia Rumma si concretizza invece la poetica dell’oggetto transitorio: quattordici calchi in cera della testa della Abramovic, attraversati da cristalli di quarzo. “With eyes closed I see happiness” il titolo della personale, dove la tensione spirituale dell’artista-sciamana è documentata da una serie di scatti fotografici, che nell’astrazione del vuoto ne esaltano una fisicità mistica e insieme reale, chiave di volta del mistero-Marina, icona umana e carismatica.
Una che, in un mondo dove tutti fanno la voce grossa, e dove ha ragione chi urla più forte, è riuscita ad imporsi col silenzio e la stasi. Se non un consiglio di metodo, una lezione di vita.

Marina Abramovic_ The Abramovic method_ a cura di Diego Sileo ed Eugenio Viola_Milano, PAC e Galleria Lia Rumma

(22 marzo – 10 giugno 2012)

(Roma, 11 aprile 2012)

         

        

         

         

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