La norma di Bellini

17 febbraio 2013

Giovanni Bellini_ Imago Pietatis_ 1457 circa_ Tempera su tavola_ Firmato: “IOANNES BEL[L]INUS”. Provenienza: acquistata da Gian Giacomo Poldi Pezzoli presso Giuseppe Molteni entro il 1° giugno 1864 ©Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 1587.

Appare all’improvviso, quel busto tagliato nella pietra bianca. Una fiamma gelida, nell’atmosfera discreta di un piccolo progetto che, calando un poker di Pietà belliniane, fa quel che troppe mostre vetrina spesso trascurano: mettere a confronto versioni differenti e sempre più libere di un medesimo canone iconografico, seguendo al contempo l’evoluzione di un artista, le cui opere inevitabilmente non possono tutte fregiarsi del titolo di “capolavoro”. È un Giovanni Bellini non privo di asprezze e ingenuità, infatti, quello che sul palcoscenico veneziano – illuminato ancora dall’oro orientale – cerca la propria cifra, guardandosi attorno e, soprattutto, dentro casa.
Per lui, figlio di Jacopo e fratello di Gentile, le vicende dell’arte fanno tutt’uno con le storie di famiglia, visti i legami con Andrea Mantegna, marito di sua sorella Nicolosia. Esempio lampante, proprio l’Imago pietatis del Poldi Pezzoli, che dal cognato mutua non solo la durezza di modellato, ma anche lo sfondo (simile a quello dell’Adorazione dei pastori, analogia che ha contribuito ad avallare l’ipotesi di una committenza comune, quella di Borso d’Este, formulata da Keith Christiansen). Sulla tavola di pioppo, contro un cielo intenerito dai toni rosati, l’idolo della akra tapeinosis[1] si staglia nella sua rarefatta bellezza: niente stimmate sulle mani (sebbene la diagnostica dell’ultimo intervento di pulitura le abbia rintracciate nel disegno originario), sangue ridotto al minimo sul costato. Niente a che vedere con la variante “espressionista”, esacerbata e fiamminga, della tavola dell’Accademia Carrara, quadretto di famiglia dolente un po’ più ordinario.
Progredisce Giambellino – e insistente si fa stavolta il richiamo al passaggio padovano di Donatello –  nel Cristo sorretto da due angeli del Museo Correr, dove, grazie all’olio che agevola i preziosi cangiantismi nelle vesti degli angeli (due paffuti bambocci ancora molto patavini), si inizia a sentire il peso della gravità, anche se la pelle si raggrinzisce innaturalmente, come fosse tessuto e non carne viva, nonostante l’impegno nella resa anatomica di muscoli e vene. Una sostanza corporea che si materializza definitivamente, in maniera più umana e calda, nella Pietà di Rimini, dove l’astrazione del fondo totalmente nero dona assoluta centralità ad una resa matura degli affetti, “tagliando” la scena in modo decisamente moderno (soluzione poi saccheggiata da tanta fotografia).
Dopo l’anticlimax finale (un Bastiani e un Vivarini utili comunque ad aggiungere qualche tassello al quadro complessivo), da seguire il video didattico che, sulla scorta del recente restauro, precisa gli aspetti tecnici dell’esecuzione.

         

         

Giovanni Bellini: dall’icona alla storia_ Milano_ Museo Poldi Pezzoli
(9 novembre 2012 – 25 febbraio 2013)


[1] (dal greco)“somma umiliazione”.

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