Ritagli di tempo

13 settembre 2014

Nel salone della parrucchiera, siamo in quattro. Una sopporta la tinta in posa sopra la faccia nascosta, una bella agée sorveglia la sua messa in piega, un’altra mi siede accanto sul divanetto vagamente Dalì. Ci avvicendiamo ai lavandini, sulle poltroncine girevoli, davanti alle mensole e alla cassa. Con la coda dell’occhio sbircio l’accerchiamento danzante di specchi e complimenti a lavoro finito. Penso a Basile, alla sua barocca descrizione di questo sfarfallare tutto femminile (“Chi co lo schiecco, chi co la carrafella d’acqua de cocozze, chi co lo fierro de li ricce, chi co la pezza de russo, chi co lo pettene, chi co le spingole, chi co li vestite, chi co la cannacca e collane…”). Poi ci sono io, che dopo tre stantuffate alla poltroncina non tocco terra coi piedi e li dondolo, mentre rido, bercio, protesto per le corna che mi si sono drizzate in cima al cocuzzolo, concordo lunghezze, pianifico hairstylismi retrò e parlo, parlo. Garrula, sempre un tono sopra. Insomma, il giorno dopo realizzo che ho fatto un casino del diavolo. Tutto da sola. Le altre signore forse hanno parlato, ma io non le ho sentite, indaffarata a riempire l’ambiente con i miei decibel.
Lo rammento stamattina, prima di uscire per andare in farmacia. Correggiti, sta’ attenta.
Mi travesto tortora e beige, cardiganino sulle spalle. Aiuta.
Arrivo. Aspiro contenta il profumo del negozio. Sorridente e pudica, illustro alla signora dietro al banco il problema, snocciolo l’autodiagnosi e i primi, maldestri e inefficaci, tentativi terapeutici. I suoi muscoli facciali non si muovono. Una vaga ombra nei suoi occhi che non riesco a decrifrare: dottore’, ma me staje sfuttenn? Non te ne importa dei miei malanni? Mi schifi perché ti sto chiedendo comprensione? Insomma, un poco di soddisfazione!
Sconfitta, lascio che il mio sguardo crolli sulla massiccia fede d’oro (una fede da vera signora, mica come la mia), perché quell’insondabile immobilità mi strozza e contrista. Ah, la loquace complicità della peluqueria!
Sbrigativamente, mi annuncia cosa mi venderà: le stesse cose che avrei comprato subito, senza star lì a farle lo spiegone. Senza sprecare il mio istrionismo per un pubblico così insensibile. Dopo tutto accade per flash: la cerca nel riposto, la bustina, lo “scarica?” “no grazzzz”, lo scontrino, il resto sbagliato.

Due sere prima avevo cacciato fuori lacrimoni grossi e zero singhiozzi, rivolevo i miei capelli, quelli lunghi lunghi, rivolevo il cielo della mia giovinezza, i maglioni morbidi, il legno incerato, le cornici scolpite, i balconi spalancati su maggio, rivolevo tutto e tutto insieme.

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