Caravaggio, le Sette Opere e…

25 dicembre 2014

sette opereTrent’anni dopo. Il titolo “alla Dumas” sarebbe forse piaciuto a Vincenzo Pacelli, la cui storica monografia su “Caravaggio. Le Sette Opere di Misericordia” torna nelle librerie con una nuova veste editoriale. La curatela è di Gianluca Forgione, il giovane studioso che insieme al professore di San Salvatore Telesino aveva già firmato il monumentale tomo su “Caravaggio tra arte e scienza”. Ma perché ripubblicare, dopo la prima uscita del 1984, un libro dedicato a un’unica tela?
«La riedizione è prima di tutto l’occasione per ricordare il lavoro di un importante storico dell’arte scomparso il 13 febbraio di quest’anno, Vincenzo Pacelli, a lungo docente presso l’Università Federico II. – risponde Forgione – Invece di dedicargli il solito e un po’ paludato volume “in memoria” con scritti di amici e colleghi, abbiamo scelto, con l’editore Pompeo Paparo e il patrocinio del Pio Monte della Misericordia, di ridare corpo ad un progetto che stava da tempo particolarmente a cuore al professore: pubblicare una riedizione aggiornata di uno dei suoi libri più importanti, quello appunto sulle Sette Opere di Misericordia, che ancor oggi resta il primo ed unico studio monografico di ambizione scientifica su un dipinto capitale nel percorso artistico di Michelangelo Merisi e per le sorti stesse della pittura italiana di primo Seicento».

Cos’è cambiato rispetto alla prima edizione?
«In primo luogo, la veste grafica e redazionale: l’apparato illustrativo è stato ripensato daccapo, con nuove immagini a colori che si integrano con il testo, a sua volta adeguato a più moderni criteri redazionali, mentre la premessa aiuta il lettore a comprendere le ragioni di questa operazione e a contestualizzare il libro nella carriera dell’autore e nella storiografia degli studi caravaggeschi. La presentazione del volume, che avverrà il 13 febbraio al Pio Monte della Misericordia e che ospiterà gli interventi di importanti studiosi e amici di Pacelli, sarà anche l’occasione per dedicare una giornata di studi in suo onore».

Per uno studioso, quali sono gli elementi più affascinanti del quadro?
«La pala è per molti aspetti addirittura rivoluzionaria: Caravaggio, ad esempio, è il primo a pensare di riunire tutte e sette le opere della misericordia corporale richieste da Gesù nel Vangelo di Matteo facendo dialogare le figure in un unico, straordinario intreccio narrativo».

Nelle Sette Opere c’è davvero il “colore napoletano”, o è retorica folkloristica?
«Questa era in particolare l’impressione di Roberto Longhi, uno dei più grandi storici dell’arte del Novecento e il vero scopritore moderno della grandezza di Caravaggio. Longhi leggeva le Sette Opere, forse in modo un po’ forzato ma letterariamente efficace, come la vera istantanea di un vicolo di Spaccanapoli. Qui il pittore avrebbe messo in posa personaggi popolari tratti soprattutto dalla propria esperienza quotidiana, come nel caso dell’uomo che indica l’alloggio al pellegrino all’estrema destra della composizione, che il grande studioso si chiedeva – un po’ scherzosamente – non potesse magari corrispondere al ritratto dell’albergatore tedesco proprietario della famigerata osteria del Cerriglio nei pressi di Santa Maria la Nova, di cui Caravaggio sappiamo fosse assiduo frequentatore».

Anche se Caravaggio è un nome di grande richiamo, visto il taglio circoscritto e specialistico, la pubblicazione non rischia di essere un po’ di nicchia?
«Non temo ci sia questo rischio. La monografia di Pacelli è certamente un saggio di natura scientifica, ma il modo originale in cui sono poste le questioni, il linguaggio chiaro e diretto che amava adoperare il professore e, da ultimo, questa nuova e più agile veste tipografica fanno ben sperare in una ricezione ampia e trasversale. Che poi resta ancora una delle sfide (e dei limiti) della attuale ricerca storico-artistica: e sarebbe un buon risultato se si riuscisse già a parlare, se non anche ai lettori comuni, quanto meno ad un più vasto pubblico di umanisti non direttamente identificabili con la stretta cerchia degli specialisti dei proprio argomenti».

Nei mesi scorsi si è molto discusso intorno a una possibile “trasferta” del dipinto ad Expo 2015…
«Fortunatamente pare che questa minaccia sia stata scongiurata. Le opere d’arte sono oggetti fragili, e vi si trovano depositati fondamentali valori storici relativi alla nostra stessa identità culturale: il loro spostamento dovrebbe essere concesso soltanto in circostanze eccezionali, e al cospetto di eventi espositivi – oggi purtroppo sempre più rari – di comprovata serietà scientifica».

(articolo pubblicato sul Roma, 24 dicembre 2014)

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