Vita dei campi

1 novembre 2014
20. Segantini Ave Maria a trasbordo_1

Giovanni Segantini_ Ave Maria a trasbordo, seconda versione_1886_olio su tela, 120 x 90 cm. St. Moritz, Museo Segantini, deposito della Fondazione Otto Fischbacher – Giovanni Segantini

Oh patria mia, mai più ti rivedrò!
Mai più! mai più ti rivedrò!
O cieli azzurri o dolci aure native
Dove sereno il mio mattin brillò
O verdi colli o profumate rive
O patria mia, mai più ti rivedrò!
Mai più! no, no, mai più, mai più!

L’aria di Aida per leggere Segantini?
Tentar non nuoce.
La patria, prima. Giovanni Segatini (non è un refuso, ma il suo cognome originario) è un apolide. Nasce ad Arco Trentino suddito del kaiser, ma, nonostante tutti i suoi sforzi e la “dimissione del nesso di cittadinanza austriaca”, non riuscirà mai a diventare italiano. Un’inadempienza burocratica milanese lo condanna di fatto ad un limbo giuridico, aggravato da una condanna a morte per diserzione, accusa dalla quale verrà assolto solo post mortem dall’imperatore Francesco Giuseppe. Anche l’altra patria, però, l’Italia, non si dimostra particolarmente generosa con lui, visto che la prima grande retrospettiva gli viene dedicata solo nel 1926 durante la XV Biennale di Venezia, cioè ventisette anni dopo la sua morte, provocata da un attacco di peritonite.
Ad accoglierlo grazie ad un “permesso di tolleranza” è la Svizzera, terra eletta a dimora da molti anarchici. E indubbiamente una buona dose di anarchia in Segantini c’è. Non dal punto di vista politico, ma sicuramente il temperamento ribelle che aveva caratterizzato la sua gioventù, tra vagabondaggio e fughe dal riformatorio, ha buona parte nella costruzione del suo “mito”.
Mito subito presentato all’inizio della bellissima mostra meneghina, attraverso i ritratti di un bell’uomo bruno, dallo sguardo spiritato e un po’ messianico, con un aspetto da nazareno, perfettamente integrato nei panni del vate; e poi approfondito dai testi e dagli apparati in catalogo.
Una personalità costantemente in cerca di affermazione (e i riconoscimenti non gli mancano, come ricorda il palmarès ripercorso nell’esposizione), protagonista di un romanzo ben orchestrato da lui stesso, avendo cura di espungerne le parti meno coincidenti con l’“epopea” dell’orfano reietto, che s’impone in virtù del proprio talento. Avendo fatto la bohème, non disdegna affatto gli agi “borghesi” che il successo può donargli. Una voglia di riscatto che sembra non abbandonare mai Giovanni, anzi lo accompagna, ad esempio, nella scelta di chalet sempre più lussuosi. E anche quando cerca sulle montagne l’indispensabile solitudine (si definiva – per vezzo? – “l’orso di Savognino”), l’isolamento non è mai troppo radicale: nei grandi alberghi elvetici passano difatti i danarosi collezionisti e il milieu intellettuale del tempo. Perennemente in bolletta per questa vita spesso al di sopra delle sue possibilità, non respinge anche le committenze più “commerciali”, quali le nature morte.
Insomma, scapigliato sì, ma a modo suo.
Così come: divisionista a modo suo, simbolista a modo suo.
Del resto, l’impossibilità di ottenere un passaporto è un serio problema. Il pittore è infatti costretto a conoscere l’evoluzione della scena coeva per interposta persona: attraverso i fecondi insegnamenti del gallerista Vittore Grubicy (col quale “romperà” per legarsi professionalmente all’altro fratello, Alberto) o tramite riproduzioni, per giunta in bianco e nero. Ma chissà che questo impedimento non sia stato, più che una lacuna, un ulteriore stimolo per uno spirito tenacemente proiettato a superare i limiti imposti dal destino, al punto da coltivare ambizioni da teorico, ad onta degli evidenti limiti grammaticali dovuti ad un’alfabetizzazione tardiva; o, ancora, da progettare un'”opera d’arte totale” un tantino megalomane, ma molto contemporanea, come il Panorama dell’Engadina, dove tra pittura, congegni elettrici avrebbe trovato posto addirittura un’installazione con veri contadini, animali, piante, terra e sassi.
Chissà insomma cosa sarebbe stato capace di fare Segantini, se avesse potuto avere un contatto diretto con la dimensione europea dei suoi tempi. Oppure di non fare: si sarebbe lasciato travolgere dai suggerimenti, sarebbe riuscito a mantenere una prospettiva originale? Sarebbe riuscito a cantare allo stesso modo la poesia delle Alpi? Come sarebbero stati i suoi cieli?
Già, i cieli. Che però non sempre sono azzurri e tersi. A volte incombono come lastre di ghiaccio, altre barbagliano carichi di primavera, struggono gonfi di crepuscolo e tempesta. A Palazzo Reale va in scena soprattutto la luce: è questa la materia pittorica che – rugosa, in tocchi, in filamenti, piatta, “sgraffita”, mischiata a polveri d’oro e d’argento – Segantini ricama, sparge, plasma, con un magistero che non si può descrivere, semmai raccontare, a rischio di inciampare nella retorica e di usare parole troppo alate. Un afflato sentimentale che non stride col potente respiro della terra che domina i quadri. E se talvolta il paesaggio viene dipinto in modo lirico, questa visione non tocca il lavoro dei campi: rifiutata la pittura come denuncia o documento, nei rapporti gerarchici tra uomini e animale talvolta sembrano prevalere i secondi. Una Natura che sovrasta, ma sa farsi avvolgente quando temperata da un idillio venato di comunione sacra, che sia al tocco malinconico dell’Ave Maria o nel tepore di una stalla; ma anche una Natura che si gela dinanzi all’erotismo fatale delle Cattive madri (visibli nei video nell’ultima sala), per tornare ad esultare con forza dirompente nell’Amore alla fonte della vita.

Giovanni Segantini_ Costume grigionese (ritratto di Barbara Huffer)_ 1887_ olio su tela, 54 x 79 cm_ St. Moritz, Museo Segantini, deposito della Fondazione Otto Fischbacher - Giovanni Segantini      Giovanni Segantini_ Le azalee_ 1884-1885_ olio su tela incollata a cartone, 96 x 40 cm_ St. Moritz, Museo Segantini, deposito della Fondazione Gottfried Keller     Giovanni Segantini_ Sul balcone_ 1892_ olio su tela, 64,5 x 41 cm_Coira, Museo d'arte dei Grigioni, deposito della Fondazione Gottfried Keller
Giovanni Segantini_ Riposo all’ombra_ 1892_ olio su tela, 44 x 68 cm_ Collezione privata     Giovanni Segantini_ Alla stanga_ 1886_ olio su tela, 170 x 390 cm_ Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea     Giovanni Segantini_ Ritorno dal bosco_ 1890_ olio su tela, 64,5 x 95,5 cm_ St. Moritz, Museo Giovanni Segantini, deposito della Fondazione Otto Fischbacher - Giovanni Segantini
Giovanni Segantini_ Mezzogiorno sulle Alpi_ 1891_ olio su tela, 77,5 x 71,5 cm_ St. Moritz, Museo Segantini, deposito della Fondazione Otto Fischbacher - Giovanni Segantini      Giovanni Segantini_ Le due madri_ 1889_ olio su tela, 162,5 x 301 cm_ Milano, Galleria d’Arte Moderna     Giovanni Segantini_ L’Amore alla fonte della vita_ 1896_ olio su tela, 70 x 100 cm_ Milano, Galleria d’Arte Moderna

Segantini_ a cura di Annie-Paule Quinsac e Diana Segantini_ Milano, Palazzo Reale
(18 settembre 2014 – 18 gennaio 2015)
www.mostrasegantini.it

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