Tela e gesso sono i supporti della nuova produzione che Stanislao Di Giugno espone (fino al 7 maggio) da Tiziana Di Caro: una collaborazione iniziata nel 2008 nella sede salernitana e che prosegue in quella di Piazzetta Nilo con invariata energia. “Deserted corners collapsing thoughts” (“Angoli abbandonati, pensieri che crollano”) il titolo, che – spiega l’artista – «non è descrittivo né esplicativo», quanto «suggestivo. Nel senso che fotografa come un’istantanea il mio stato d’animo nel periodo precedente l’inaugurazione. I lavori in mostra non rappresentano niente e non parlano di niente in particolare e il titolo è volutamente aperto a tutte le interpretazioni». Pittura per se stessa, che si nutre del suo farsi: «C’è un’idea generale di composizione ma è solo un’idea, non un progetto. La composizione finale e quindi le forme si definiscono nell’atto stesso, prendono forma nel momento in cui si relazionano con gli spazi e le tonalità che le hanno precedute. Come ogni forma è indissolubilmente legata a quelle che la precedono ed è la pittura stessa a guidarti in parte dove vuole lei, allo stesso modo ogni quadro suggerisce delle soluzioni per quelli che seguiranno». In questa catena di esiti continuamente ripensati, fondamentale è «la relazione quotidiana con alcuni materiali che selezioni nel tempo, perché rispondono ad esigenze psichiche e formali che cerchi e che comprendi lavorando. Non vai a comprare un bianco o un nero, – dice Di Giugno – ma vai a comprare quel bianco e quel nero; quella tela e non un’altra, perché lo stesso colore risulterebbe diverso. La pittura richiede tempi lunghi, ci vuole tempo a capire quello che fa per te, quello che corrisponde al tuo modo di essere». Intorno alla relazione tra luce e buio, il pittore elabora una severa astrazione, che modula gradualmente il passaggio dalle voluminose profondità degli scuri ai toni più freddi: «A me è sempre interessato l’aspetto statico e concluso della pittura. La pittura mi interessa proprio perché è statica, è limitata spazialmente e temporalmente. È come se racchiudesse un tempo lungo in un solo istante. La pittura in qualche modo fa sì che tutto accada allo stesso momento, dovrebbe essere un momento di rivelazione e contemplazione. Un modo di pensare che dovrebbe portarti fuori contesto».
(Articolo pubblicato sul Roma, 4 maggio 2016)